Voglio raccontarvi di una settimana a cavallo tra la primavera e l’estate, fatta di risate, di sole e di vento: la prima vacanza con la nuova moto, Frush ed io, nella splendida Corsica, l’isola francese che si scalda al sole d’Italia, per rubare una definizione a Balzac.
E’ tanto tempo che volevamo visitare questi luoghi, incuriositi dalla presenza di montagne che guardano il mare dall’alto dei loro 2700 metri. Sotto quelle vette ci sono splendide spiagge, calette nascoste, fiumi che “innaffiano” il mare, chilometri e chilometri di macchia mediterranea. C’è il mescolarsi dei profumi del mare e della montagna, il vento che ti lascia il sale sulla pelle, il contrasto tra il verde dei pini e dei larici, il turchese dei fondali e il rosso dei calanchi ravvivato dalla luce del tramonto, il volo lineare dei gabbiani e il volo circolare dei rapaci. E la scorsa settimana c’eravamo anche noi, con la nostra muccona BMW, la macchina fotografica, i consigli preziosi dei forumisti di Mototurismo, la gioia e la curiosità che
fanno battere forte il cuore di chi viaggia per puro piacere e diletto.
La nostra base è Roma, da dove –imboccata la via Aurelia- ci dirigiamo a Livorno: quattro ore di traghetto e ci ritroviamo in una terra avvolta dalle nubi e piena di vento.
Come suggeritoci da alcuni colleghi del forum, decisi a percorrere l’isola in senso antiorario così da godere meglio dei suoi splendidi panorami, ci dirigiamo a Saint Florence, un delizioso paesino a una manciata di chilometri dal porto di Bastia. Vista la bassa stagione, trovare un albergo confortevole è abbastanza facile, c’è perfino uno spazioso box per la moto. Una gustosa cena a base di pesce in un ristorantino vicino al porto, un’occhiata alle stelle nel cielo tornato limpido grazie al soffiare del libeccio, una bella dormita ed un delizioso croissant, e siamo di nuovo in sella, decisi ad esplorare in un solo giorno Capo Corso.
C’è vento ma il sole è caldo, le calette si susseguono lungo la strada, alcune di roccia altre di rena pietrosa altra ancora di sabbia bianca e sottile. La moto affronta la strada stretta ma quasi deserta con grande morbidezza, man mano che ci avviciniamo al Capo però il vento aumenta e quando cominciano le salite oppone grande resistenza. Ci fermiamo poco prima della splendida spiaggia nera di Nonza, in una grande cala delimitata da una torre genovese: le onde sono altissime, restiamo per un paio di ore a più di venti metri dalla riva ad osservare il mare i cui spruzzi ci investono copiosi. Vorrei toccare l’acqua con la punta di un piede ma questa spiaggia è fatta di dune e la riva è come una pericolosa scogliera. Siamo intimoriti, affascinati e “salati”. Ho i capelli intrecciati dal vento, gli occhiali appannati di sale e lo sguardo rapito da tanta naturale meraviglia. Un panino tonno e pomodoro preparato a fatica controvento, una passeggiata sul sentierino che porta alla torre, tante foto e tanto sole. Molto romantico se non fosse per le mie belle ustioni ai piedi!
Tornati in sella, proseguiamo con il giro del Capo: Nonza è bellissima, dalla strada si vedono enormi scritte sulla sabbia nera, un grosso cuore disegnato da qualche innamorato cattura la nostra attenzione, incontriamo piccoli villaggi e poche auto. Siamo felici, leggiadri, appagati dal nostro girovagare; io sono un po’dispiaciuta perché non ho potuto fare il bagno. Credo di essere una delle poche micie che amano l’acqua!
Qualche altra foto, godendo del privilegio di potersi fermare ovunque (nonostante le strade strette) grazie alla moto, un po’ di frutta e siamo di nuovo a Saint Florence, dove proviamo un secondo ristorante. Stavolta il menù tipico è a base di carne e brocciu, un gustoso formaggio assai simile alla nostra ricotta di pecora, uno degli alimenti base della cucina corsa.
Ho notato che i corsi mischiano i sapori forti della terra con quelli più delicati del mare: la zuppa di pesce è piena di verdure tritate e passate, le orate sono insaporite con le erbe della macchia ed il finocchio selvatico e servite con una gustosa peperonata per contorno, il brocciu è impastato con foglioline di menta sia nei cannelloni che nelle frittelle e si sposa col limone nel fiadone, il dolce tipico più gustoso. I vini sono cari e squisiti, molto meno “sinceri” dei nostri, tant’è che dopo mezzo litro di rosso in due per noi alzarsi da tavola senza cadere richiede un notevole sforzo.
Il giorno successivo, smaltita la sbornia, prendiamo il Popeye, un peschereccio che in poco più di trenta minuti ci porta (l’ultimo tratto su un gommone strapieno di indisciplinati teenager tedeschi!) alla spiaggia di Lodo, raggiungibile solo via mare e naturalmente bellissima. Ci colpisce il chiarore della sabbia, la limpidezza dell’acqua di un turchese uniforme bellissimo. E ci colpisce un toro che pascola tranquillo sulla spiaggia, vicino al fiume che qui finisce il suo viaggio.
Abbiamo cinque ore di tempo prima che vengano a riprenderci, così decidiamo di percorrere il sentiero non segnato che in circa un’ora –attraverso la fitta macchia mediterranea che caratterizza il deserto degli Agriates- ci porta sulla famosa spiaggia corallina della Saleccia. Qui c’è molto più vento, il mare è agitatissimo, oltre a noi c’è una famigliola che non riesce a fissare alla riva il proprio motoscafo. Il solito panino col pomodoro, le foto di rito e ci rincamminiamo per il più lungo e più suggestivo sentiero costiero che in un’ora e mezza, passando per calette di roccia meravigliose, ci riporta alla spiaggia di Lodo. Il toro per fortuna non c’è più, così resto con il mio completino rosso senza paura.
Siamo cotti di sole e salati più che mai quando torniamo in porto. Stasera si cucina in stanza con il fornellino da campeggio: risotto con le zucchine (quando soffriggo l’aglio tutte le teste si alzano a guardare il nostro balcone, ma il proprietario dell’hotel non bussa né telefona…meno male!) e un canestro di brocciu fresco (gustosissimo, viene prodotto solo in alcuni mesi dell’anno, tra cui giugno).
Il dopocena si conclude con una passeggiata di congedo da questo bel paesino e con un buonissimo gelato al miele corso (l’isola è famosa in tutto il mondo per l’altissima qualità del suo miele).
L’indomani partiamo diretti a Porto. La strada che percorriamo è di una bellezza stupefacente; si snoda stretta e tortuosa per parecchie decine di chilometri, dall’alto scorgiamo spiagge e calette piene di onde e quasi deserte, le rocce attorno a noi si fanno sempre più rosse. Ci fermiamo su una bella spiaggia rocciosa, dove montiamo un piccola tenda per ripararci dal vento e dalle scottature. C’è un fiume solcato da canoe gialle, un bell’esemplare di cane da caccia che gioca sulla spiaggia, qualche vacca bianca che pascola libera (e quindi sulla spiaggia c’è anche qualche “frittata”!).
Nel pomeriggio arriviamo a Porto, il cui golfo dai riflessi ramati è stato riconosciuto dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità. Sappiamo già dove dormire, siamo“raccomandati” dall’albergatore di Saint Florence che ci ha preso in simpatia. Ancora per una notte la nostra motona dorme in un box; la nostra stanza è bellissima, panoramica e confortevole, ma soprattutto a buon prezzo; l’hotel è sulla marina, di fronte alla spiaggia dove all’ora del tramonto facciamo un bellissimo bagno. Il libeccio, compagno dei nostri primi tre giorni in terra corsa, si è finalmente calmato, ma è una pausa che durerà appena ventiquattr’ore!
Le calanques di Piana sono davvero spettacolari, meta di tanti turisti che si arrampicano su strettissime stradine panoramiche per ammirarle. Provo ad immaginare cosa possano diventare questi luoghi in luglio ed agosto e un brivido mi attraversa la schiena, ma passa guardando gli enormi calanchi che delimitano la strada e si buttano nell’acqua color cobalto da 400 metri di quota. Godo del panorama, del sole che mi accarezza la pelle, della moto nuova alla quale comincio ad affezionarmi perché ce la sta mettendo davvero tutta per farci passare la nostalgia della vecchia Transalp con cui abbiamo girato per tanti anni avidi di emozioni e di conoscenza.
Sfuggendo la confusione delle calanques, percorriamo la strada costiera che si affaccia in un susseguirsi di panorami mozzafiato su un mare splendidamente azzurro, oltrepassiamo la famosa marina di Ficajola e ci fermiamo per il bagno alla bella spiaggia di Arone, per poi dirigerci di nuovo verso Porto.
Cominciamo ad avere un po’ di nostalgia della montagna e così, seguendo i consigli della guida Lonely Planet, ci arrampichiamo su una strada strettissima che ci porta prima ad Ota, grazioso borgo a cinque km da Porto, e poi ad Evisa, altro borgo a 830 metri d’altitudine, tra le gole di Spelunca e la foresta di Aitone. E’quest’ultimo luogo la prossima meta del nostro girovagare vagabondo: qui verso le quattro del pomeriggio pranziamo vicino ad una bella cascata, incontriamo una coppia di voraci maiali selvatici con tanto di figliata, osserviamo a lungo una coloratissima upupa che salta da un ramo all’altro, per un momento pensiamo perfino di fare un bagno nelle belle piscine naturali attigue alle cascate. Con il nostro fornellino da campeggio, dinanzi agli occhi curiosi degli altri turisti (francesi e tedeschi, italiani durante l’intero viaggio ne abbiamo incontrati pochissimi), ci facciamo un buon caffè all’italiana. Poi, dopo un incontro-scontro con i maiali di cui sopra, che quasi ci assalgono a causa del rumore di una busta di plastica (sono davvero voracissimi), riprendiamo la via di Porto sognando un bel bagno al tramonto e una gustosa cena tipica.
Lasciamo Porto l’indomani con un po’ di tristezza: è un posto talmente bello e rilassante che per un attimo pensiamo di chiudere qui il nostro viaggio fermandoci altri due giorni, ma poi l’istinto dell’esploratore prevale e prendiamo la strada che, passando per il Colle di Verghio (1467 metri), che
segna il confine tra l’Haute Corse e la Corse du Sud, conduce a Corte.
Il caldo afoso (36 gradi) ci impedisce di godere a pieno del paesaggio attorno a noi: la Valle del Niolo e le spettacolari gole che compongono la Scala di Santa Regina ci fanno compagnia fino al lago di Calacuccia, lungo una strada strettissima, costruita in alcuni punti su banchine sorrette da archi. Unici elementi che deturpano il paesaggio sono la gigantesca diga ed i pali arrugginiti dell’elettricità che seguono il corso del Golo.
Giunti a Corte sudatissimi fatichiamo un po’ a trovare un albergo col parcheggio privato.
La città, che per un piccolo periodo è stata capitale di Corsica e dove oggi sorge l’unica università dell’isola, che ospita circa 3000 studenti, ci accoglie in una luce spenta e fatiscente. L’albergo dove alloggiamo, sebbene giudicato confortevole dalla guida, è una vera e propria catapecchia, ma siamo così stanchi a causa del caldo che ci arrendiamo pur di poter riposare e mangiare un po’.
Dopo qualche ora siamo di nuovo in sella: andiamo a Corte, descritta dalle guide come una splendida città romantica. Io vedo solo case vecchie, misere e fatiscenti, traffico, tanto tanto caldo. Fuggiamo seguendo i cartelli che in un attimo ci portano in un luogo che sa di paradiso: la valle della Restonica. La percorriamo tutta fino al parcheggio situato oltre i 1300 metri di quota da dove partono i sentieri per i laghi di Melu e di Capitellu e da dove si vede una splendida copiosa cascata. Ci sono 20 gradi. Poi, riscendendo, ci fermiamo lungo il torrente, dove ci sono parecchie persone che fanno il bagno.
La sera torniamo a Corte, mangiamo per 13 euro a testa la torta di erbette, il cinghiale alla corsa e un buon dolce di castagne, simbolo queste ultime della regione, e andiamo a nanna.
La notte è faticosa e insonne, il materasso è pieno di molle che hanno dormito sul nostro corpo indolenzito, ma la bella giornata azzurra ci fa tornare allegri. La nostra meta sono le Cascate degli Inglesi, il cui sentiero (circa 30 minuti a piedi) ci attende a 3 km dal Colle di Vizzavona in direzione di Ajaccio, situato all’incrocio con il famoso GR20 corso. E’ qui, tra un bagno d’acqua dolce ed uno di sole, che passiamo quasi tutto il nostro ultimo giorno in terra corsa, circondati dalle cascate e dai monti più alti di Corsica (uno è ancora innevato!).
Una piccola deviazione ci porterà a scoprire, lungo la strada del ritorno, un altro passo montano, la cui via d’accesso è stretta e ripida ma bella.
Un ultimo pasto tipico a base di brocciu, un’altra nottataccia nell’albergaccio e l’indomani percorriamo i circa 70 km che separano Corte da Bastia, luogo di imbarco per tornare a casa, dove arriviamo in tarda serata.
Ci guardiamo sconsolati, avremmo voluto che questo viaggio durasse più a lungo, sebbene tra un mese ci saranno le altre ferie e potremo vivere una nuova avventura con la moto. “Ciò che conta - ha scritto un giorno qualcuno- non è la meta ma la strada”…e il mondo è pieno zeppo di splendide strade da percorrere in moto!
E’ tanto tempo che volevamo visitare questi luoghi, incuriositi dalla presenza di montagne che guardano il mare dall’alto dei loro 2700 metri. Sotto quelle vette ci sono splendide spiagge, calette nascoste, fiumi che “innaffiano” il mare, chilometri e chilometri di macchia mediterranea. C’è il mescolarsi dei profumi del mare e della montagna, il vento che ti lascia il sale sulla pelle, il contrasto tra il verde dei pini e dei larici, il turchese dei fondali e il rosso dei calanchi ravvivato dalla luce del tramonto, il volo lineare dei gabbiani e il volo circolare dei rapaci. E la scorsa settimana c’eravamo anche noi, con la nostra muccona BMW, la macchina fotografica, i consigli preziosi dei forumisti di Mototurismo, la gioia e la curiosità che
fanno battere forte il cuore di chi viaggia per puro piacere e diletto.
La nostra base è Roma, da dove –imboccata la via Aurelia- ci dirigiamo a Livorno: quattro ore di traghetto e ci ritroviamo in una terra avvolta dalle nubi e piena di vento.
Come suggeritoci da alcuni colleghi del forum, decisi a percorrere l’isola in senso antiorario così da godere meglio dei suoi splendidi panorami, ci dirigiamo a Saint Florence, un delizioso paesino a una manciata di chilometri dal porto di Bastia. Vista la bassa stagione, trovare un albergo confortevole è abbastanza facile, c’è perfino uno spazioso box per la moto. Una gustosa cena a base di pesce in un ristorantino vicino al porto, un’occhiata alle stelle nel cielo tornato limpido grazie al soffiare del libeccio, una bella dormita ed un delizioso croissant, e siamo di nuovo in sella, decisi ad esplorare in un solo giorno Capo Corso.
C’è vento ma il sole è caldo, le calette si susseguono lungo la strada, alcune di roccia altre di rena pietrosa altra ancora di sabbia bianca e sottile. La moto affronta la strada stretta ma quasi deserta con grande morbidezza, man mano che ci avviciniamo al Capo però il vento aumenta e quando cominciano le salite oppone grande resistenza. Ci fermiamo poco prima della splendida spiaggia nera di Nonza, in una grande cala delimitata da una torre genovese: le onde sono altissime, restiamo per un paio di ore a più di venti metri dalla riva ad osservare il mare i cui spruzzi ci investono copiosi. Vorrei toccare l’acqua con la punta di un piede ma questa spiaggia è fatta di dune e la riva è come una pericolosa scogliera. Siamo intimoriti, affascinati e “salati”. Ho i capelli intrecciati dal vento, gli occhiali appannati di sale e lo sguardo rapito da tanta naturale meraviglia. Un panino tonno e pomodoro preparato a fatica controvento, una passeggiata sul sentierino che porta alla torre, tante foto e tanto sole. Molto romantico se non fosse per le mie belle ustioni ai piedi!
Tornati in sella, proseguiamo con il giro del Capo: Nonza è bellissima, dalla strada si vedono enormi scritte sulla sabbia nera, un grosso cuore disegnato da qualche innamorato cattura la nostra attenzione, incontriamo piccoli villaggi e poche auto. Siamo felici, leggiadri, appagati dal nostro girovagare; io sono un po’dispiaciuta perché non ho potuto fare il bagno. Credo di essere una delle poche micie che amano l’acqua!
Qualche altra foto, godendo del privilegio di potersi fermare ovunque (nonostante le strade strette) grazie alla moto, un po’ di frutta e siamo di nuovo a Saint Florence, dove proviamo un secondo ristorante. Stavolta il menù tipico è a base di carne e brocciu, un gustoso formaggio assai simile alla nostra ricotta di pecora, uno degli alimenti base della cucina corsa.
Ho notato che i corsi mischiano i sapori forti della terra con quelli più delicati del mare: la zuppa di pesce è piena di verdure tritate e passate, le orate sono insaporite con le erbe della macchia ed il finocchio selvatico e servite con una gustosa peperonata per contorno, il brocciu è impastato con foglioline di menta sia nei cannelloni che nelle frittelle e si sposa col limone nel fiadone, il dolce tipico più gustoso. I vini sono cari e squisiti, molto meno “sinceri” dei nostri, tant’è che dopo mezzo litro di rosso in due per noi alzarsi da tavola senza cadere richiede un notevole sforzo.
Il giorno successivo, smaltita la sbornia, prendiamo il Popeye, un peschereccio che in poco più di trenta minuti ci porta (l’ultimo tratto su un gommone strapieno di indisciplinati teenager tedeschi!) alla spiaggia di Lodo, raggiungibile solo via mare e naturalmente bellissima. Ci colpisce il chiarore della sabbia, la limpidezza dell’acqua di un turchese uniforme bellissimo. E ci colpisce un toro che pascola tranquillo sulla spiaggia, vicino al fiume che qui finisce il suo viaggio.
Abbiamo cinque ore di tempo prima che vengano a riprenderci, così decidiamo di percorrere il sentiero non segnato che in circa un’ora –attraverso la fitta macchia mediterranea che caratterizza il deserto degli Agriates- ci porta sulla famosa spiaggia corallina della Saleccia. Qui c’è molto più vento, il mare è agitatissimo, oltre a noi c’è una famigliola che non riesce a fissare alla riva il proprio motoscafo. Il solito panino col pomodoro, le foto di rito e ci rincamminiamo per il più lungo e più suggestivo sentiero costiero che in un’ora e mezza, passando per calette di roccia meravigliose, ci riporta alla spiaggia di Lodo. Il toro per fortuna non c’è più, così resto con il mio completino rosso senza paura.
Siamo cotti di sole e salati più che mai quando torniamo in porto. Stasera si cucina in stanza con il fornellino da campeggio: risotto con le zucchine (quando soffriggo l’aglio tutte le teste si alzano a guardare il nostro balcone, ma il proprietario dell’hotel non bussa né telefona…meno male!) e un canestro di brocciu fresco (gustosissimo, viene prodotto solo in alcuni mesi dell’anno, tra cui giugno).
Il dopocena si conclude con una passeggiata di congedo da questo bel paesino e con un buonissimo gelato al miele corso (l’isola è famosa in tutto il mondo per l’altissima qualità del suo miele).
L’indomani partiamo diretti a Porto. La strada che percorriamo è di una bellezza stupefacente; si snoda stretta e tortuosa per parecchie decine di chilometri, dall’alto scorgiamo spiagge e calette piene di onde e quasi deserte, le rocce attorno a noi si fanno sempre più rosse. Ci fermiamo su una bella spiaggia rocciosa, dove montiamo un piccola tenda per ripararci dal vento e dalle scottature. C’è un fiume solcato da canoe gialle, un bell’esemplare di cane da caccia che gioca sulla spiaggia, qualche vacca bianca che pascola libera (e quindi sulla spiaggia c’è anche qualche “frittata”!).
Nel pomeriggio arriviamo a Porto, il cui golfo dai riflessi ramati è stato riconosciuto dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità. Sappiamo già dove dormire, siamo“raccomandati” dall’albergatore di Saint Florence che ci ha preso in simpatia. Ancora per una notte la nostra motona dorme in un box; la nostra stanza è bellissima, panoramica e confortevole, ma soprattutto a buon prezzo; l’hotel è sulla marina, di fronte alla spiaggia dove all’ora del tramonto facciamo un bellissimo bagno. Il libeccio, compagno dei nostri primi tre giorni in terra corsa, si è finalmente calmato, ma è una pausa che durerà appena ventiquattr’ore!
Le calanques di Piana sono davvero spettacolari, meta di tanti turisti che si arrampicano su strettissime stradine panoramiche per ammirarle. Provo ad immaginare cosa possano diventare questi luoghi in luglio ed agosto e un brivido mi attraversa la schiena, ma passa guardando gli enormi calanchi che delimitano la strada e si buttano nell’acqua color cobalto da 400 metri di quota. Godo del panorama, del sole che mi accarezza la pelle, della moto nuova alla quale comincio ad affezionarmi perché ce la sta mettendo davvero tutta per farci passare la nostalgia della vecchia Transalp con cui abbiamo girato per tanti anni avidi di emozioni e di conoscenza.
Sfuggendo la confusione delle calanques, percorriamo la strada costiera che si affaccia in un susseguirsi di panorami mozzafiato su un mare splendidamente azzurro, oltrepassiamo la famosa marina di Ficajola e ci fermiamo per il bagno alla bella spiaggia di Arone, per poi dirigerci di nuovo verso Porto.
Cominciamo ad avere un po’ di nostalgia della montagna e così, seguendo i consigli della guida Lonely Planet, ci arrampichiamo su una strada strettissima che ci porta prima ad Ota, grazioso borgo a cinque km da Porto, e poi ad Evisa, altro borgo a 830 metri d’altitudine, tra le gole di Spelunca e la foresta di Aitone. E’quest’ultimo luogo la prossima meta del nostro girovagare vagabondo: qui verso le quattro del pomeriggio pranziamo vicino ad una bella cascata, incontriamo una coppia di voraci maiali selvatici con tanto di figliata, osserviamo a lungo una coloratissima upupa che salta da un ramo all’altro, per un momento pensiamo perfino di fare un bagno nelle belle piscine naturali attigue alle cascate. Con il nostro fornellino da campeggio, dinanzi agli occhi curiosi degli altri turisti (francesi e tedeschi, italiani durante l’intero viaggio ne abbiamo incontrati pochissimi), ci facciamo un buon caffè all’italiana. Poi, dopo un incontro-scontro con i maiali di cui sopra, che quasi ci assalgono a causa del rumore di una busta di plastica (sono davvero voracissimi), riprendiamo la via di Porto sognando un bel bagno al tramonto e una gustosa cena tipica.
Lasciamo Porto l’indomani con un po’ di tristezza: è un posto talmente bello e rilassante che per un attimo pensiamo di chiudere qui il nostro viaggio fermandoci altri due giorni, ma poi l’istinto dell’esploratore prevale e prendiamo la strada che, passando per il Colle di Verghio (1467 metri), che
segna il confine tra l’Haute Corse e la Corse du Sud, conduce a Corte.
Il caldo afoso (36 gradi) ci impedisce di godere a pieno del paesaggio attorno a noi: la Valle del Niolo e le spettacolari gole che compongono la Scala di Santa Regina ci fanno compagnia fino al lago di Calacuccia, lungo una strada strettissima, costruita in alcuni punti su banchine sorrette da archi. Unici elementi che deturpano il paesaggio sono la gigantesca diga ed i pali arrugginiti dell’elettricità che seguono il corso del Golo.
Giunti a Corte sudatissimi fatichiamo un po’ a trovare un albergo col parcheggio privato.
La città, che per un piccolo periodo è stata capitale di Corsica e dove oggi sorge l’unica università dell’isola, che ospita circa 3000 studenti, ci accoglie in una luce spenta e fatiscente. L’albergo dove alloggiamo, sebbene giudicato confortevole dalla guida, è una vera e propria catapecchia, ma siamo così stanchi a causa del caldo che ci arrendiamo pur di poter riposare e mangiare un po’.
Dopo qualche ora siamo di nuovo in sella: andiamo a Corte, descritta dalle guide come una splendida città romantica. Io vedo solo case vecchie, misere e fatiscenti, traffico, tanto tanto caldo. Fuggiamo seguendo i cartelli che in un attimo ci portano in un luogo che sa di paradiso: la valle della Restonica. La percorriamo tutta fino al parcheggio situato oltre i 1300 metri di quota da dove partono i sentieri per i laghi di Melu e di Capitellu e da dove si vede una splendida copiosa cascata. Ci sono 20 gradi. Poi, riscendendo, ci fermiamo lungo il torrente, dove ci sono parecchie persone che fanno il bagno.
La sera torniamo a Corte, mangiamo per 13 euro a testa la torta di erbette, il cinghiale alla corsa e un buon dolce di castagne, simbolo queste ultime della regione, e andiamo a nanna.
La notte è faticosa e insonne, il materasso è pieno di molle che hanno dormito sul nostro corpo indolenzito, ma la bella giornata azzurra ci fa tornare allegri. La nostra meta sono le Cascate degli Inglesi, il cui sentiero (circa 30 minuti a piedi) ci attende a 3 km dal Colle di Vizzavona in direzione di Ajaccio, situato all’incrocio con il famoso GR20 corso. E’ qui, tra un bagno d’acqua dolce ed uno di sole, che passiamo quasi tutto il nostro ultimo giorno in terra corsa, circondati dalle cascate e dai monti più alti di Corsica (uno è ancora innevato!).
Una piccola deviazione ci porterà a scoprire, lungo la strada del ritorno, un altro passo montano, la cui via d’accesso è stretta e ripida ma bella.
Un ultimo pasto tipico a base di brocciu, un’altra nottataccia nell’albergaccio e l’indomani percorriamo i circa 70 km che separano Corte da Bastia, luogo di imbarco per tornare a casa, dove arriviamo in tarda serata.
Ci guardiamo sconsolati, avremmo voluto che questo viaggio durasse più a lungo, sebbene tra un mese ci saranno le altre ferie e potremo vivere una nuova avventura con la moto. “Ciò che conta - ha scritto un giorno qualcuno- non è la meta ma la strada”…e il mondo è pieno zeppo di splendide strade da percorrere in moto!