21 Aprile 2012
L’avventura ha inizio!
Arriviamo al porto di Bari intorno alle 19. L’aria è fresca, l’azzurro del cielo si prepara a cedere il passo al sole che tramonta e colora tutto d’arancio. Le coordinate forniteci da Bagnatozuppo non corrispondono all’effettivo punto d’incontro, così giriamo a lungo per il porto, senza che nessuno ci fermi, neppure ai varchi.
Quando giungiamo in prossimità del luogo d’appuntamento, accanto alla Candy di Bazu, troviamo Ernesta, la nuova Guzzi Stelvio dei coniugi Balza. Eravamo convinti di viaggiare sulla stessa nave, invece per Durazzo alle 23 salpano due differenti compagnie, per cui abbiamo giusto il tempo di un panino al volo insieme e poi ci separiamo. Li vediamo da lontano salire subito a bordo, mentre noi restiamo fermi a lungo davanti alla pancia della Bridge, la nostra nave, prima di ricevere l’autorizzazione ad entrare. Così assistiamo a due ore di manovre di autotreni e respiriamo ettolitri di nafta… Quando finalmente ci fanno segno di salire a bordo, comprendiamo il perché ci abbiano lasciato quasi per ultimi: la nave non è predisposta a ricevere motociclette, dunque dovevano trovare un punto dove incastrare le nostre cavalcature. Le manovre sono piuttosto azzardate, Pippo è appoggiata sulla sacca stagna tra la sbarra e un camion, ma riporta comunque qualche segno sui bauletti; i mozzi che devono legare le moto sembrano tipi tutt’altro che affidabili tant’è che Bazu decide di portarsi in cabina perfino il bauletto posteriore.
Sono le 22 passate quando prendiamo possesso della nostra cabina. La pancia della moto è infinita, continua a ricevere autotreni fino a riempirsi completamente ed è la mezza passata quando finalmente salpiamo.
Naturalmente il ritardo della partenza ce lo porteremo, ulteriormente incrementato, fino all’arrivo a Durazzo, che avviene intorno alle 10. La nave dei Balza è già in porto, scarica. I nostri amici sono già sbarcati.
Gironzolando per la nave, mi rendo subito conto che l’Albania, pur così vicina, è da noi infinitamente lontana. La gente fuma ovunque, molti sono già sdraiati a terra e si preparano a trascorrere la notte sul pavimento, l’aria è pesante. Siamo forse gli unici italiani a bordo e così tutti ci fissano in modo molto insistente, non so se incuriositi dall’abbigliamento motociclistico oppure perché si domandano il motivo per cui siamo lì in mezzo a loro. Non ci sono possibilità di socializzare. E’ una percezione strana quella che ho, sia perché siamo ancora sul traghetto e sia perché non immaginavo tutta questa “distanza”.Quando ci rintaniamo nella nostra cabina provo un certo sollievo.
22 Aprile 2012
Lo sbarco a Durazzo avviene intorno alle 10-10.30. Mentre facciamo la fila alla dogana del porto, notiamo subito dei bambini che chiedono l’elemosina. Sono sudici e magri, la Poliziacerca di tenerli lontani dalla Dogana ma loro scavalcano i cancelli laterali con abilità e destrezza e dopo poco sono di nuovo tra le macchine e i tir in fila.
Mentre attendiamo che anche Bazu completi le operazioni in dogana, ci avviciniamo ad alcuni poliziotti che ci chiedono se siamo italiani e ci gridano sorridenti”You are welcome!”
Questa frase ce la sentiremo ripetere durante l’intero soggiorno in Albania. Ovunque.
Durazzo è molto caotica, non solo nella zona del porto. Si pone subito il problema di acquistare un’assicurazione perché la carta verde di Pippo non contempla l’Albania tra i paesi coperti dalla polizza. Cerchiamo un’agenzia, aiutati da alcuni poliziotti incontrati per strada, ma i terminali non funzionano e così siamo costretti a tornare in direzione del porto e ad acquistare la polizza per strada, cosa che avremmo voluto evitare. Il certificato sembra autentico e ci viene rilasciato per 20 euro, quando ce lo chiedono qualche giorno dopo alla dogana albanese non ci crea problemi.
Fintanto che non usciamo da Durazzo, ci imbattiamo in un gran casino. Ovunque ci sono venditori di valuta locale e di schede telefoniche albanesi, e subito notiamo che le macchine in circolazione sono al 90% delle berline mercedes. La città è caratterizzata da palazzi anche di 15 piani, alcuni vecchissimi e pericolanti, altri in costruzione. Ci sono cantieri ovunque. Molti ci danno un colpo di clacson e ci salutano. Noi siamo storditi ed un pochino diffidenti, tuttavia notiamo subito che la gente è calorosa ed ospitale.
La nostra prima destinazione in Albania è Berat, città museo che nel 2008 è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità. Dista da Durazzo appena una ottantina di chilometri ed è posizionata tra aspre montagne. Per un breve periodo nel 1944 è stata anche capitale dell’Albania. La strada per Berat è tutt’altro che agevole. Attraversa alcuni villaggi di campagna ed è trafficata e piena di grosse buche, a tratti sterrata.
Lungo la strada, oltre alla immancabili Mercedes, ci sono numerosi carri trainati dai somari, motorini “modificati” e trasformati in carretti, vecchie biciclette che trasportano fieno e stracci. Ogni tanto c’è qualche baracca fatiscente che vende bibite e patatine. Un vecchio posto di Polizia è stato trasformato in un negozio di barbiere ed attira la nostra attenzione in modo particolare. Frequente è anche vedere una donna che porta al guinzaglio una vacca.
Capiamo subito che lungo questi 80 chilometri di strada c’è l’Albania “vera”. E rispondiamo calorosamente a quelle zappe che si fermano per osservarci e accennarci un saluto con la mano, ai bambini che ci corrono dietro allegramente… Tutto ciò mi ricorda una terra lontana visitata nel 2008, il Nepal, ma mai avrei immaginato che l’avrei ritrovato in Europa. E’ un’arretratezza che mi rattrista molto, una miseria che non riesco a spiegarmi.
Comunque questo paese è pieno di contrasti: da un lato le baracche e dall’altro i palazzi di 12 piani in costruzione, molti dei quali rifiniti e di pregio; da un lato i carretti trainati dai ciuchini ed i contadini che ancora lavorano la terra a colpi di vanga e dall’altro Mercedes e macchinoni ovunque, tutti guidati da ragazzi giovani… No, non sono come le macchine truccate con le quali i giovani passano le serate a farsi le vasche nelle cittadine del Sud America, il passo è diverso. Qui c’è un’enorme disparità sociale ed è evidente che il vero potere non è né del popolo né del governo.
Arriviamo a Berat dopo infinite buche, impolverati e felici. Ci sentiamo meravigliosamente in viaggio.
La città ci accoglie in tutto il suo splendore, con le sue mille finestre e quella dominante bianca che la rende unica.
Cerchiamo un hotel e, dopo un tentativo andato male all’hotel Mangalemi, ci fermiamo al Palma, sulla via principale. La doppia costa 30 euro, è discreto anche se non pulitissimo. Non c’è il garage per le moto ma ci garantiscono che il posto è tranquillo così parcheggiamo le nostre “piccole” davanti alla hall. La nostra stanza dà sul fiume, il colpo d’occhio è notevole.
Solo più tardi ci accorgeremo che l’hotel è costruito proprio sul letto del fiume, tipo palafitta.
Pranziamo intorno alle 16 con un gustosissimo piatto di kebab e verdure, poi ci incamminiamo per i vicoli di Berat muniti di macchina fotografica e videocamera.
La città è piuttosto tranquilla, a parte noi incontriamo un’unica coppia di turisti, nord europei ed entusiasti.
In un vicolo il nostro passo incrocia quello di una vecchia signora vestita di nero, col tipico fazzoletto in testa: Bazu la saluta per primo, lei sorride e quando mi incrocia mi batte con la mano sulla spalla… E’ un attimo, le nostre mani si stringono fino a quando i passi in direzione opposta non le costringono a lasciarsi. E’una sensazione bellissima.
Poi, mentre fotografiamo una delle moschee di Berat, veniamo fermati da un signore molto distinto ed educato che ci offre per dieci euro a cranio una stanza a casa sua, nel cuore della città vecchia. Lavora al museo etnografico, ma per arrotondare, dato che è l’unico in famiglia con uno stipendio, trascorre il pomeriggio alla ricerca di turisti. Ci spiega che a Berat l’80% della gente parla italiano, pur non essendo mai stata nel nostro paese. Merito della televisione.
Reincontreremo il nostro amico più tardi, quando –dopo la visita delle moschee- andremo a curiosare fuori dalla città vecchia. E’ su una vecchia bici alla stazione degli autobus, alla ricerca di qualche turista a cui affittare stanze. Ci spiega che spesso i turisti sono diffidenti nei suoi confronti perché arrivano in Albania pieni di pregiudizi; aggiunge che è vero che nel suo paese ci sono molti delinquenti, soprattutto dopo la caduta del regime. E’ incredibile, ma ci confida di rimpiangere i tempi del regime, perché le disparità sociali ed il disordine di oggi crescono a dismisura e non porteranno il paese da nessuna parte. Ci fa proprio l’esempio dei macchinoni in circolazione, aggiungendo che neppure in Italia si vedono tutte queste macchine da ricchi. Ci parla dei giovani senza lavoro, della qualità delle scuole scaduta, delle scarse prospettive di miglioramento, dei suoi figli.
Le moschee di Berat sono molto suggestive. Le visitiamo in perfetta solitudine, scalzi, cercando di immaginarle durante le preghiere.
Siamo rilassati, felici e tra noi incredibilmente in sintonia. Ci regaliamo una cena in un localetto suggerito dalla Lonely Planet: terrina di peperoni al formaggio, bistecca e verdure. Poi una passeggiata ad ammirare le case bianche di Berat illuminate dalla luna. Infine un sonno ristoratore.
23 Aprile 2012
Ripartiamo da Berat intorno alle 9, diretti ad Orhid, in Macedonia.
Ripercorriamo, in senso inverso, parte della strada del giorno precedente. Difatti la ridotta rete stradale albanese non prevede una via diversa che ci consenta di andare direttamente più a nord.
Il tragitto è molto avventuroso, ed attraversa città allucinanti come Elbasan e numerosi villaggi dove tutti gli occhi sono puntati su di noi. Nulla qui è turistico ma tutti ci salutano, compresa la Polizia che –ogni volta che ci incontra- dà un colpo di clacson ed un inizio di sirena.
I posti di polizia infatti in Albania sono frequentissimi. E spesso i poliziotti sono dotati di pistola laser per la rilevazione della velocità. Lo stesso discorso non è valido per le indicazioni stradali che sono molto carenti.
Imbocchiamo una strada che si arrampica seguendo il letto di un fiume e ci offre bei panorami sulle montagne circostanti.
A pranzo ci fermiamo in un piccolo ristorante lungo la strada; praticamente –a parte tre che non si capisce se fanno parte della famiglia o siano a loro volta avventori- ci siamo soltanto noi. Facciamo amicizia con un cagnolino nero che vuol giocare, ce l’ha con Bazu e gli abbaia in continuazione.
Il ristoratore mi porta in uno stanzino dove c’è la cucina per farmi vedere cosa bolle in pentola: c’è una casseruola di alluminio piena di un brodo nero che sembra di manzo ed una pentola con del riso lesso appiccicoso. L’odore non è un granchè, ma non mi pare ci sia una grande scelta: o questo o niente. Completiamo il pasto con un’insalata greca.
Prendo dal frigo una bottiglia d’acqua ma, prima ancora di aprirla, mi accorgo che sul fondo ci sono tre centimetri buoni di muffa. La sostituiamo con due bottiglie da mezzo litro. Il ristoratore però non la butta, bensì la rimette al suo posto.
Siamo affamati ma la qualità del cibo lascia molto a desiderare, così chiedo aiuto alla dolce cagnolina, con la quale nel frattempo siamo diventati grandi amici, che invece sembra gradire qualsiasi cosa sia commestibile, compreso il pane asciutto. Bazu comincia a pensare che la carne sia della “mamma” della cucciola, ma è chiaro che è tutto uno scherzo.
Qui abbondano i somarelli, ed io desidero tanto fotografarne uno. Così, quando vedo un omino col ciuchino, dò una stretta di cosce inequivocabile ad Andrea che si ferma. Ho scelto bene, il ciuchino è delizioso e…udite udite…il marchio dell’Elica spicca sulla sua imbracatura!
Ripartiamo in direzione di Orhid e –superata una cittadina con un centinaio di autolavaggi-passiamo attraverso una regione caratterizzata da numerosissimi bunker. In lontananza si scorgono i laghi, il cielo è nuvoloso ma il paesaggio è notevole.
Superiamo la frontiera e attraversiamo una zona davvero povera. La gente vive in baracche improvvisate e ci sono rifiuti ovunque.
Giunti ad Orhid, veniamo subito intercettati da un tizio che ci offre una stanza a casa sua. Lo liquidiamo perché sappiamo già dove andare e la nostra scelta si rivela azzeccata. Con 24 euro prendiamo una swite a quattro stelle, linda e con un cortile dove far riposare le nostre cavalcature. Sosteremo qui due notti, così da poter dedicare una intera giornata ai dintorni di Orhid,al Parco Nazionale di Galicica e al lago di Prespa.
Facciamo appena in tempo ad uscire che comincia a piovere, sempre più intensamente. Il centro è animato, ci sono parecchi negozi che vendono perle e coralli, molti ristoranti e, in un vicolo, troviamo una gustosa pasticceria dove facciamo una sosta golosa.
Comunque Orhid è una cittadina assolutamente turistica, e dunque qui ci sentiamo più in vacanza che in viaggio. I vicoli della città vecchia sono molto suggestivi.
Completiamo la giornata con una abbondante cena da Tino: ce lo indicano come un ristorante turco, ed invece è un ristorante italiano. C’è pure un complessino che suona musica dal vivo, ma noi siamo presi da ben altro e divoriamo l’abbondante cena fino a non poterne più!
24 Aprile 2012
Nonostante le previsioni meteo siano rassicuranti, la prima luce del mattino non è granchè. C’è come una patina ad oscurare l’azzurro del lago di Orhid che ci offre scorci molto suggestivi mentre con le nostre “piccole” ci giriamo attorno.
Indugiamo a lungo nel villaggio di Trpejca, che la guida presenta come l’unico angolo del lago ancora incontaminato. In realtà è un posto strapieno di appartamenti privati da affittare ai turisti, solo che la stagione non è ancora cominciata.
Dopo una lunga rilassante passeggiata sulla spiaggia, chiediamo alla signora che gestisce l’emporio sulla piazza principale un caffè ma ci mostra una bibita fresca in lattina dall’aspetto poco invitante. Di fronte alla nostra faccia delusa ci fa cenno di sederci fuori e un quarto d’ora dopo si presenta con tre tazze di profumato caffè turco, preparate appositamente per noi, ed un grande sorriso. E’ il primo caffè turco del viaggio, ci lascia la bocca buona per il resto della mattinata.
Quando imbocchiamo la strada che attraversa il Parco Nazionale di Galicica, cominciamo a salire di quota. Il panorama dall’alto è notevole ed incrociamo una coppia di crucchi in moto che salutiamo calorosamente. Comincia la neve e con essa la paura di trovare la strada che collega Orhid a Prespa chiusa. Più su c’è un divieto di transito che decidiamo consapevolmente di ignorare, tuttavia due chilometri dopo siamo costretti ad invertire la marcia perché la strada è ricoperta dalla neve e non c’è spazio sufficiente neppure per passare in moto. Ci fermiamo per qualche foto, la scelta di invertire la rotta è dolorosa ma inevitabile.
Ripassiamo per Orhid e ci dirigiamo a Prespa attraverso una strada più veloce ma trafficata, profumata dai frutteti e strapiena di venditori di mele.
Quando giungiamo al lago fatichiamo a lungo prima di trovare un ristorante, poi con l’aiuto dell’unico passante troviamo un posticino che ci propone un gustoso piatto mai mangiato prima: carpa fritta. Bazu ne è estasiato, lui adora questi piatti saporiti e pesanti.
A parte qualche cormorano non faccio avvistamenti degni di nota, il lago sembra deserto. Dei pellicani ricci di cui parlava la guida neppure l’ombra! Inoltre il tempo continua a non essere un granchè…
Rientrati ad Orhid decidiamo di visitare l’imponente castello, la bella chiesa di Sveti Jovan Kaneo, appollaiata sulle rupi che dominano il lago, e l’imponente cattedrale di Sveta Sofija.
A sera Andrea ed io riusciamo appena a mandare giù un’insalata tanto la carpa fritta si fa ancora sentire! Bazu invece gusta un piatto a base di carne di maiale con grande appetito.
25 Aprile 2012
Finalmente una giornata che sembra limpida ed assolata… almeno ad Orhid! Sì, perché poco dopo la frontiera tra Macedonia ed Albania, su di noi si scatenerà l’inferno…Cavolo, proprio oggi che abbiamo da percorrere tutta strada di montagna!
L’ansia è crescente perché attraversiamo posti davvero “duri”, addirittura ci ritroviamo a costeggiare una discarica di rifiuti abitata da grossi branchi di cani randagi che potrebbero per noi essere un serio pericolo.
Rinunciamo anche alla abituale sosta caffè tanto l’atmosfera è tesa. Il cielo sempre più plumbeo fa il resto e ci costringe ad infilarci sotto la tettoia di un distributore di benzina per il rito della vestizione anti pioggia.
Ce la passiamo davvero brutta, diluvia, il termometro scende a quattro gradi e le condizioni della strada piena di buche sono davvero pessime… Costeggia un gigantesco fiume che sarebbe molto bello se non fosse strapieno di rifiuti che galleggiano e che si trovano praticamente ovunque lungo la strada!
Ben presto il maltempo ci priva di ogni visuale panoramica e quando ci fermiamo in un ristorante per mangiare un boccone ed asciugarci un po’ scopriamo di essere a soli sei chilometri da Burrell.
Queste zone dell’Albania non sono per niente turistiche, così tutti gli occhi sono puntati su di noi. Ogni tanto si avvicina qualcuno per fare la nostra conoscenza. Il nostro vicino di tavolo mi chiede in che zona di Roma abito e mi dice di essere stato a Viterbo, in carcere. Il cibo è buono.
Intanto che mangiamo ci accorgiamo che ha smesso di piovere. Esce un sole caldo ed intenso che ci regala più di un’emozione mentre percorriamo una splendida strada di montagna che costeggia un fiume, stavolta senza rifiuti. Troviamo anche un bar dove prendere un caffè espresso (in questo gli albanesi non sono per niente indietro).
Ci fermiamo a fare delle foto a dei maialetti lungo una strada piena di ginestre profumate e capre quando sentiamo una macchina inchiodare in mezzo alla via, per giunta in curva, con lo stereo a palla: ne esce un tipo di mezza età che scopriamo essersi fermato per noi. Ci chiede se ci piace il suo paese e scopriamo che vive da 12 anni in Italia. Deve essere un po’ il boss della zona perché a quanto pare quello che ci circonda è tutta roba sua. Ci invita a bere un caffè a casa sua ma decliniamo l’invito: c’è una luce splendida e ci siamo persi Bazu che aveva voglia di guidare approfittando delle discrete condizioni dell’asfalto.
E’ bello essere su questa strada di montagna ora a respirare il profumo dell’appena piovuto mentre il sole ci scalda il viso.
In tutto il percorso non abbiamo incontrato neppure un hotel, segno che queste zone non sono per niente turistiche. In compenso abbiamo reincontrato i due crucchi già visti ad Orhid.
Dobbiamo faticare parecchio per trovare un posto dove dormire. Scartiamo un hotel che ci chiede 30 euro a cranio con pagamento anticipato e che non ci sembra sicuro per le moto, ed entriamo a Shkoder, in un albergo statale che si rivela subito sporco e fatiscente, con un ristorante all’altezza del resto. Fatichiamo a prendere sonno a causa del letto sfondato e dell’assordante rosicchiare dei tarli: io ho paura che siano nel materasso, Andrea pensa siano altrove. Quando finalmente riusciamo a prendere sonno veniamo svegliati dal minareto che prega squarciando il silenzio della notte. Pensare di togliersi la stanchezza con una doccia è impensabile viste le pessime condizioni igieniche del bagno.
Domani lasceremo l’Albania per il Montenegro.
26 Aprile 2012
La giornata dioggi è davvero spettacolare. Abbiamo deciso di entrare in Montenegro attraverso una frontiera secondaria (Muriqan) che porta direttamente alla sponda meridionale del lago di Scutari.
Non appena superiamo la frontiera albanese, ci ritroviamo a percorrere circa sette chilometri di sterrato dovuto a lavori in corso. Impieghiamo tempo a capire che quella che stiamo percorrendo non è la terra di nessuno ma siamo già in Montenegro. A trarci in inganno anche la circostanza che in frontiera, pur passando i nostri documenti e la carta verde da un poliziotto all’altro, ci mettono solo il timbro albanese e non anche quello montenegrino. Ciò nei giorni a venire creerà un divertente equivoco perché in un albergo verremo presi per clandestini!
Ritrovato l’asfalto, la giornata ci vede arrivare felici a Virparar, in Montenegro, dopo aver percorso dapprima una suggestiva strada zeppa di alberi secolari e tombe e caratterizzata da una vegetazione verde e lussureggiante, e poi una meravigliosa strettissima strada tra pareti di roccia sospesa tra cielo e lago. E’ il trionfo della natura. Non incontriamo quasi nessuno a parte una tribù di ciuchini, ma tutto è incredibilmente ospitale.
Siamo nel parco nazionale di Scutari, quello che per me resterà il posto più bello dell’intero viaggio. Ogni curva, ogni metro di strada ci regala uno scorcio incredibile e diverso tante sono le isolette sospese nel lago.
A dire il vero non avevamo pianificato di fermarci proprio a Virparar, ma questo paese si rivela talmente accogliente da conquistarci immediatamente. Anche perché non appena ci fermiamo la mia attenzione viene subito attratta da un bellissimo negozio di souvenir artigianali: c’è una signora che dipinge pellicani e ninfee di tutti i formati e pose. Acquisto dei magneti ma mi riservo una seconda visita più calma nel pomeriggio quando ci saremo sistemati.
Veniamo subito accalappiati da un certo Marco, di nazionalità serba, titolare di un albergo/ristorante, che ci affitta una stanza per 26 euro a testa. Non c’è il tempo di pranzare perché lo stesso tizio ci vende una gita in barca di due ore che parte alle 14. Abbiamo meno di mezzora per posare i bagagli e cambiarci. Così, mentre rosicchio un paio di gallette di mais per fare stare zitto lo stomaco che reclama cibo, comincio a sognare di vedere i famosi pellicani ricci di Scutari.
Verrò premiata. Con stupore anche del giovane capitano della piccola barca che ci porta a spasso assieme a una famigliola di francesi.
Bazu si dimostra subito un po’ insofferente alla gita in barca, a lui pellicani ed aironi piacerebbero solo arrostiti. E magari assaggerebbe pure un cormorano in umido con le patate!
Il lago in alcuni tratti è davvero splendido, tant’è che fa parte di un parco nazionale. Ci sono tantissime piante di ninfee, ma ancora non sono fiorite. E' pieno di uccelli, in particolare cormorani ed anatre. Ma anche gli aironi bianchi abbondano.
Di pellicani ne avvistiamo diversi, forse una decina. Tanti se si considera che secondo la guida in tutto il Parco ne sono rimasti soltanto 270 esemplari. Uno è incredibilmente grosso. Ci regalano spettacolari voli. Purtroppo il movimento della barca non consente grandi zoomate, tuttavia qualche bella ripresa riesco a portarmela a casa.
Rientrati sulla terra ferma verso le 16.30 facciamo uno spuntino al supermercato. Qui c’è l’euro e dunque fare la spesa è estremamente semplice. Niente di meglio che yogurth e biscotti. Bazu invece va a wurstel e noccioline.
Intanto continuano gli attacchi di Marco, che si rivela una vera e propria piattola. Ci spia e vorrebbe organizzare ogni secondo del nostro soggiorno a Vir. Ma noi siamo abili a seminarlo e lo trattiamo con sufficienza.
Il negozietto di souvenir è chiuso, così non posso fare altri acquisti.
Andrea ed io decidiamo di riprendere Pippo e di andarci a fare un giro sulla spettacolare strettissima strada panoramica che porta a Rijeka Krnojevica, quella delle foto di tutte le guide turistiche sul Montenegro. Non riusciamo a ritrovare i luoghi visti sulle foto, ma poi ci accorgiamo che in realtà sono loro ma hanno un aspetto differente perché è caduta tanta di quella pioggia che ci sono interi campi alluvionati e moltissimi alberi sott’acqua. I panorami sono incredibili, anche se il sole è ormai basso e parecchie zone sono in ombra. Incontriamo due bellissimi cerbiatti intenti a brucare in un campo.
Rientriamo che sta facendo buio, la zecca è già lì ad aspettarci per indurci ad andare nel suo ristorante. Una doccia, una passeggiata fino alla ferrovia a recuperare lo Zione e ci infiliamo proprio al ristorante “Il pellicano”, dove ci facciamo male con olive e formaggio di capra per antipasto, e un tris di pesce di lago con tortino di patate e cipolle come portata principale. Poi birra locale e un dolcino troppo dolce omaggio della casa. Ci regalano delle erbe secche con cui prepararci una tisana e quattro buste con dei francobolli raffiguranti appunto un pellicano.
Andiamo a nanna appagati, in tutti i sensi. Ma la notte l’acidità di stomaco si fa sentire… La carpa non è proprio per me!
27 Aprile 2012
Ripartiamo da Vir di buon’ora dopo aver fatto incetta di brioches al forno del paese. Con soli 70 centesimi mi porto via dolci per quattro persone ed un rustico per Bazu!
Marco, la zecca, stranamente non c’è. Proprio ora che dobbiamo pagare, lui che ieri ha cercato in tutti i modi di farsi dare anticipatamente i soldi dell’hotel, non c’è! Lasciamo i soldini in agenzia ad una signora che non parla né inglese né italiano e beve un profumato caffè turco, autopraticandoci un paio di euro di sconto sul prezzo pattuito.
La giornata è splendida. Azzurra e soleggiata. E ci vede a zonzo per le montagne settentrionali del Montenegro. Seguiamo il fiume Moraca oggi, azzurro ed impetuoso.
Anche il Monastero della Moraca ci lascia a bocca aperta. E’ splendido, zeppo di affreschi antichi. Il pope in compenso è antipaticissimo, il suo “no foto” non ammette deroghe.
Dietro il monastero ci sono numerosissime arnie, una delle quali a forma di monastero. Chiedo di acquistare del miele ma mi dicono che non è in vendita.
Approfittando della distrazione del pope, con Andrea di vedetta, riesco a fare delle riprese nella chiesa più piccola, collocata nei pressi delle arnie. Più per il gusto di fare un dispetto al pope che per altro!
Nonostante siamo in montagna fa davvero molto caldo.
Ad un certo punto la nostra attenzione viene attratta da una specie di tholos posto lungo il fiume. Bazu ci spiega che si tratta di una speciale costruzione utilizzata per fare il carbone. La osserviamo a lungo, incuriositi e attratti dal suggestivo scenario del fiume in un cui è collocata.
La strada sale sempre più in alto. Ci imbattiamo in uno strano gabiotto di legno e Bazu naturalmente lo apre: trattasi di un gabinetto posto nel nulla, di fronte ad una montagna che assomiglia al nostro Cervino e raggiunge i 2700 metri di altezza.
Poco dopo arriva uno strano tizio che cammina tutto storto con dei bastoni e secondo me è brillo. Comincia a parlare con Bazu e gli fa il saluto fascista. Nomina più volte Hitler e ci vuole poco a capire che dev’essere un estremista fanatico. Non sappiamo se è il proprietario del bagno.
Le montagne attorno a noi sono piene di neve, ne incontriamo anche lungo la strada. Quando svalichiamo attorno a noi è tutto bianco. I bar sono chiusi, mi viene incontro un tedesco dicendomi che a casa sua per noi ci sarebbe un letto e del cibo, ma è troppo presto per fermarci e sicuramente quello non è il posto più adatto.
Arriviamo a Plav, dove pensavamo di pernottare, ma la città è squallida e nonostante seguiamo le insegne di un hotel non riusciamo a trovarlo. Così decidiamo di riprendere la strada e di proseguire. Incontriamo un cupo negozietto in un paese tristissimo e ci compriamo l’occorrente per dei panini, tre banane e qualche bibita fresca. Mangiamo in un giardino/cimitero monumentale qualche chilometro più avanti. Bazu divora arachidi.
Ad un incrocio sbagliamo strada, ma questa sarà la nostra fortuna perché ci imbattiamo in un hotel bellissimo, Luka’s, dove prendiamo una stanza stupenda per 46 euro (25 per Bazu).
Finalmente possiamo fare una doccia come si deve, di quelle che spazzano via la stanchezza.
Scopriamo di essere a Berane, cittadina piuttosto brutta e squallida, come abbiamo modo di verificare quando usciamo per cena. Avremmo fatto meglio a mangiare da Luka’s e ce ne rendiamo conto una volta di più di fronte al meraviglioso dolce al cioccolato che ci porta al nostro ritorno. Anche le crepes mirtilli e panna della colazione sono squisite. E quello di Marco, il barista dell’hotel, è il migliore espresso bevuto in questo viaggio.
28 Aprile 2012
Lasciare questo confortevolissimo albergo ci dispiace un po’, così si fanno le nove passate prima di riprendere il nostro viaggio.
Oggi visiteremo il parco nazionale del Durmitor.
Ma prima di ripartire ci fermiamo in un supermercato per dei generosi panini, così da non dover saltare il pranzo a causa di mancanza di ristoranti.
Il fiume Tara scorre alla nostra destra quando, verso le dieci, ci blocchiamo a causa di una macchina messa di sbiego a sbarrare la strada. Non si è ancora formata fila, ma capiamo in un attimo che la strada è stata chiusa a causa di una frana. Di passare non se ne parla, neppure in moto.
Sosteremo per circa un’ora e un quarto. Ciò ci consentirà di interagire con alcuni montenegrini. Uno di loro, in particolare, nonostante non parli una parola di inglese, riuscirà a comunicare con noi più di altri, al punto che prima di ripartire donerà ad ognuno di noi tre un santino plastificato gelosamente custodito nel portafoglio. E’ un uomo sui 45 anni, ha un odore cattivo, di sudore stantio, ma che è molto devoto lo vedo quando vedendo passare un frate si precipita a baciargli le mani. Si chiama Ranko e insiste per darci il suo indirizzo e-mail.
Una volta che la strada viene riaperta, cominciamo ad addentrarci nel parco del Durmitor. Ora il fiume è alla nostra sinistra.
Si è fatta ora di pranzo, così decidiamo di trovarci un posto per fare il nostro pic nic. A un certo punto vedo una indicazione stradale che segnala un monastero, d’impeto decido che voglio vederlo e i boys mi assecondano volentieri. Arriviamo nel piazzale antistante la piccola chiesa attraverso una breve stradina secondaria. Ci sono due suore minute sedute su sedili di alberi tagliati intente a sorseggiare qualcosa. Una di loro, capendo le nostre intenzioni, ci viene incontro. Con tono severo ci dice che non si possono scattare foto e che io con i pantaloni non posso entrare. Mi porge una gonna bordò a fantasia che indossò sopra i jeans e gli stivali della moto, tra l’ilarità di Andrea e Giovanni.
Visitiamo il monastero, piccolo e meravigliosamente affrescato. E’ un luogo magico, e così acquistiamo delle candele e le accendiamo ad una splendida Madonna. Una è per il nostro Amico Giorgio, che ricordiamo tra le lacrime. Non c’è posto infatti dove andiamo senza portarcelo nel cuore.
Acquistiamo anche delle immagini sacre raffiguranti delle Madri. Sono tutte molto belle.
Forse è stato con la fiamma di quella candela per Giorgio che l’algida suora si è sciolta. Fatto sta che quando mi ha vista faticosamente sfilarmi la gonna ha riso con me, e quando abbiamo insistito per consumare il nostro panino nei pressi del monastero il rigido divieto iniziale di pic nic è caduto. Non solo, ci siamo seduti con lei e la sua superiora sui sedili d’albero e sono state le due ore più belle dell’intero viaggio.
La superiora ci ha chiesto di parlare in italiano anziché in inglese, lingua che trova fredda ed impersonale. Abbiamo cominciato a scambiarci parole di fronte ad un vecchio dizionario Montenegrino/Italiano, ridendo di gusto in una condivisione che aveva in sé un qualcosa di magico. Il Durmitor era dietro le nostre spalle, trionfante e fiero. Attorno a noi un paesaggio verde ed assolato, con fioriture di blu. Nei nostri cuori gioia e spensieratezza. Un insieme assolutamente armonico. Purezza e gioia.
Le suorine dapprima ci hanno offerto un caffè turco, poco dopo ci hanno fatto assaggiare una gustosa torta rustica fatta con uova, formaggio e l’ortica del campo in cui eravamo seduti insieme.
Un incontro che non dimenticheremo mai. Sono certa che Giorgio era lì seduto insieme a noi e se la rideva di gusto.
Ripresa la strada, siamo saliti fino ad incontrare i paesaggi innevati di una stazione sciistica. Sotto di noi le imponenti gole del fiume Tara. Da lì avremmo dovuto imboccare una stretta stradina diretta ad ovest che raggiunge i 1800
metri di quota e che passa nel cuore del parco, ma per la seconda volta abbiamo dovuto cambiare programma a causa della neve. Strada chiusa. Così ci siamo ritrovati a Niksik, squallido avamposto del regime trasformato in città universitaria.
ull’hotel non abbiamo avuto scelta e ci siamo fermati all’Onogost, un ex albergo statale grandissimo, squallido ma pulito, anche piuttosto caro (66 euro per la doppia). Lì la fantasia di Bazu si è scatenata. Ogni particolare suggeriva storie, eventi, personaggi, intrighi. E’ stato qui che ci hanno scambiati per dei clandestini a causa del mancato timbro sul passaporto di cui dicevo qualche pagina fa. Purtroppo Pippo e Minnie sono stati rinchiusi in un cortilaccio buio ed i nostri passaporti tenuti in ostaggio fino alla mattina dopo. Sul letto c’erano coperte e lenzuola piegate, in pratica ci siamo dovuti fare la branda come dei militari. E per colazione ci hanno dato dei tagliandi da consegnare ad una tipa che sembrava uscita dal letto di un ufficiale parecchi anni prima. Naturalmente il burro era di marca “Presidential”.
Niksik è piena di birrerie, di studenti e di squillo, ma non siamo riusciti a trovare il suo unico ristorante. Pertanto ci siamo accontentati di una pizza e di un gelato, prima di chiudere la porta della stanza 306 S dell’hotel Onogost. Poco dopo dei passi, poi di nuovo silenzio.
Domani si va a Kotor.
29 Aprile 2012
La giornata ha inizio con un’ordinaria colazione all’Hotel Onogost.
Poi ci dirigiamo ad Ostrog per visitare il famoso monastero nella roccia che ogni anno attira oltre un milione di visitatori. E’ domenica e dunque ci sono molti pellegrini. Restiamo piuttosto delusi, quando vediamo il breviario di un frate su i-pad restiamo allibiti. La strada per Ostrog è un disastro: senza protezioni, piena di buche e a tratti sterrata. Vi sono diversi autobus che arrancano con difficoltà e costringono noi a respirare la loro nafta e le vetture che giungono in senso contrario a numerose manovre. Un inferno.
Inoltre fa un caldo boia, il termometro supera i 30 gradi.
Ci fermiamo a fare il punto in un bar/ristorante pieno di nidi di rondine.
Per andare a Kotor abbiamo scelto una stradina di montagna stretta e ripida, l’unica che consente di arrivarci da Niksik senza dover ripassare per Podgorica. Ci lascia stupiti per quanto è desolata e piena di buche, poco più di un sentiero.
Le curve sono tante e cieche e dunque siamo costretti a procedere per due ore pigiando continuamente il clacson. Fa un caldo incredibile e siamo tutti impolverati, ma l’adrenalina sale chilometro dopo chilometro, insieme all’appetito. Ogni tanto incontriamo dei gruppetti di case, ad un certo punto c’è una specie di bar con dei tipi che ci offrono della grappa, ma sono talmente brilli che ci fermiamo quel tanto che basta per fare qualche foto al distillatore.
Ad un certo punto entriamo in una valle verdissima, come un’oasi in un deserto brullo. Bazu nota subito un grosso pozzo artesiano e allora tutta quella magnificenza trova il suo perché.
Sono circa le 15 quando le condizioni della strada cominciano a migliorare. Tra le prime case troviamo un bar che vende anche prodotti tipici ed offre dei tavoli all’ombra. Il sig. Franco ci imbandisce la tavola con birra, prosciutto affumicato artigianale e formaggio. Ruminiamo qualche nocciola selvatica, acquistiamo un barattolo di miele e sorseggiamo un caffè turco prima di riprendere la strada.
I villaggi che seguono sono più turistici e nell’aria si sente un delizioso profumo di prosciutto affumicato. Dai cartelli ci accorgiamo che siamo in una zona di produzione molto rinomata.
Ci fermiamo ancora per sorseggiare una bibita gelata, fa davvero molto caldo. C’è un pastore seduto su un prato insieme a pelose pecore e caprette con i cuccioli.
Quando la strada si allarga, Bazu fugge avati per guidare. Noi facciamo una miriade di soste fotografiche perché, alla nostra destra, il fiordo di Kotor offre vedute spettacolari. Ci sembra di volare.
Planiamo sul fiordo dolcemente e al fatidico incrocio decidiamo di non entrare a Kotor e di seguire per Muo, così da trovare una sistemazione più tranquilla. Appena ci fermiamo veniamo accalappiati da un ragazzo di circa 30 anni che ci offre un appartamento panoramico. Per 35 euro al giorno ci dà due mini appartamenti all’ultimo piano di casa sua. Ognuno è dotato di bagno e cucina e affaccia su un terrazzo che si tuffa sul fiordo e su Kotor. Pippo e Candy per la prima volta dormono in un vero garage.
Il tempo di una doccia e scendiamo per cena. Troviamo un ristorantino delizioso ad un centinaio di metri da casa e decidiamo di cenare all’aperto, sull’acqua. Così assaggiamo un vino di visciole fatto in casa ed altre prelibatezze locali di cui non ricordo il nome. Con l’arrivo della notte, l’oscurità si riempe di luci sempre più intense e ci godiamo il panorama notturno della città vecchia.
Rientrati in casa, va via la luce per circa mezzora. Il black out brucia il trasformatore del caricatore delle batterie della mia Nikon, ma siamo a tre giorni dalla partenza ed io per fortuna ho autonomia sufficiente fino al rientro in Italia.
30 Aprile 2012
La giornata inizia con una visita alla città vecchia. E’ incantevole, peccato che ci sia una grossa nave da crociera ferma nella baia che sforna un numero incredibile di turisti.
Nel caos di Kotor perdiamo Bazu che ritroveremo a fine mattinata. Oggi ha un brutto mal di pancia e dunque non può lanciarsi in assaggi culinari. Siamo venuti in moto e risalire in sella, col caldo che fa, si rivela molto piacevole. Partiamo alla
volta dei villaggi che si affacciano sul fiordo e sostiamo a lungo a Perast dove pranziamo. Povero Zione, costretto a petto di pollo, riso in bianco ed Imodium, mentre noi ci facciamo fuori calamari arrosto, insalata e patatine! Proprio oggi che sulla brace del ristorante c’è un pentolone pieno di agnello e patate! La sua storia, magistralmente raccontata a gesti, suscita l’ilarità del cameriere e degli altri avventori.
Dopo un caffè decidiamo di prendere il traghettino che attraversa il fiordo per poter esplorare i villaggi situati sulla sponda opposta. Poi una caotica strada ci porterà fino a Sveti Stefan, che scopriamo essere proprietà privata.
Torniamo a casa dopo esserci approvvigionati in un supermercato. Stasera mangeremo a casa: pasta con il pomodoro fresco. E così ceniamo sulla nostra terrazza privata, appagati dalla bella giornata appena trascorsa e da questo viaggio che si sta rivelando splendido.
1° maggio 2012
Oggi ci attende la dogana tra Montenegro e Croazia. Noteranno che non abbiamo il timbro in entrata? Dovremo davvero pagare una multa, come paventato dalla guida?
uando attraversiamo la frontiera montenegrina il passaporto non ce lo chiedono neppure, ci fanno segno di proseguire e basta. I croati invece sono un pochino più precisi. Stiamo entrando in Croazia da una frontiera secondaria, sia perché vogliamo evitare strade veloci e trafficate e sia perché desideriamo arrivare a Dubrovnik dall’alto così da poterne ammirare il
panorama.
Come vuole la tradizione, anche stavolta appena superiamo la dogana incontriamo i lavori in corso e siamo costretti ad incipriarci di sterrato. La strada è chiusa così siamo costretti a modificare il nostro itinerario. Scegliamo un’altra strada secondaria che ci porterà a Dubrovnik molto lentamente dopo numerose divagazioni e due lunghe soste: la prima per sfuggire al caldo ed infilare i piedi nell’acqua limpida di un molo solitario, e la seconda per pranzare.
Anche se abbiamo ancora il pomeriggio e tutto domani, siamo consapevoli che il viaggio può considerarsi concluso. La visita a Dubrovnik è un di più, un modo per avere quel giorno di margine che ti fa stare tranquillo in caso di imprevisti, una parentesi vacanziera.
Così, dopo aver affittato un appartamento con due stanze da letto per 20 euro a persona, ci dirigiamo a piedi verso la città vecchia dalla quale ci separano 191 gradini. C’è una luce caldissima ed il clima è afoso, così ci concediamo un gustoso gelato prima di visitare la città ed i suoi vicoli molto suggestivi.
A sera ci fermiamo in un ristorantino all’aperto su un vicolo, ci attirano le tovaglie a quadretti rossi e la bouganville a centro tavola. Ma la cucina non è un granchè, la bouganville è finta ed il conto è piuttosto salato.
2 maggio 2012
Lasciate le sacche e l’abbigliamento motociclistico alla nostra ospite, ripercorriamo i 191 scalini che ci separano dalla città vecchia. Oziamo in ogni vicolo, alla ricerca di scatti e di angoli suggestivi. Così, tra una risata, un gelato, una bibita all’ombra e quattro chiacchiere, si fa l’ora di riprendere i bagagli per raggiungere il porto. Ci troviamo impacchettati in una lunga coda dovuta ai bus turistici che caricano e scaricano orde di turisti orientali (forse gli stessi che erano lunedì a Kotor), ma grazie alla agilità delle nostre “piccole”riusciamo a passare. Facciamo provviste in un supermercato per la cena e alle 20:30 siamo sulla Dubrovnik, circondati da pellegrini di ritorno da Medjugorie che cantano e pregano.
La cabina è più comoda di quella del viaggio di andata, nella nave è rigorosamente vietato fumare e sul ponte c’è un gigantesco pastore bernese che si rotola con Bazu per giocare sotto gli occhi non proprio felici del suo padrone.
3 maggio 2012
Arriviamo a Bari intorno alle 9.30. Salutiamo Bazu e imbocchiamo l’autostrada per arrivare a Pescara intorno alle 13. C’è una piacevole brezza, l’aria è molto più fresca che in Montenegro e a Dubrovnik.
Andrea ha appena il tempo di assaggiare la pasta col pomodoro ordinata alla mamma la sera prima perché deve andare in ufficio. Io ho l’adrenalina a mille e dopo una doccia mi concentro sulle numerose lavatrici da fare.
E’ stato un viaggio intenso e bellissimo, sia nella parte più avventurosa (Albania) che in quella più prettamente turistica. Ci ha lasciato dentro grande soddisfazione ed armonia.
L’avventura ha inizio!
Arriviamo al porto di Bari intorno alle 19. L’aria è fresca, l’azzurro del cielo si prepara a cedere il passo al sole che tramonta e colora tutto d’arancio. Le coordinate forniteci da Bagnatozuppo non corrispondono all’effettivo punto d’incontro, così giriamo a lungo per il porto, senza che nessuno ci fermi, neppure ai varchi.
Quando giungiamo in prossimità del luogo d’appuntamento, accanto alla Candy di Bazu, troviamo Ernesta, la nuova Guzzi Stelvio dei coniugi Balza. Eravamo convinti di viaggiare sulla stessa nave, invece per Durazzo alle 23 salpano due differenti compagnie, per cui abbiamo giusto il tempo di un panino al volo insieme e poi ci separiamo. Li vediamo da lontano salire subito a bordo, mentre noi restiamo fermi a lungo davanti alla pancia della Bridge, la nostra nave, prima di ricevere l’autorizzazione ad entrare. Così assistiamo a due ore di manovre di autotreni e respiriamo ettolitri di nafta… Quando finalmente ci fanno segno di salire a bordo, comprendiamo il perché ci abbiano lasciato quasi per ultimi: la nave non è predisposta a ricevere motociclette, dunque dovevano trovare un punto dove incastrare le nostre cavalcature. Le manovre sono piuttosto azzardate, Pippo è appoggiata sulla sacca stagna tra la sbarra e un camion, ma riporta comunque qualche segno sui bauletti; i mozzi che devono legare le moto sembrano tipi tutt’altro che affidabili tant’è che Bazu decide di portarsi in cabina perfino il bauletto posteriore.
Sono le 22 passate quando prendiamo possesso della nostra cabina. La pancia della moto è infinita, continua a ricevere autotreni fino a riempirsi completamente ed è la mezza passata quando finalmente salpiamo.
Naturalmente il ritardo della partenza ce lo porteremo, ulteriormente incrementato, fino all’arrivo a Durazzo, che avviene intorno alle 10. La nave dei Balza è già in porto, scarica. I nostri amici sono già sbarcati.
Gironzolando per la nave, mi rendo subito conto che l’Albania, pur così vicina, è da noi infinitamente lontana. La gente fuma ovunque, molti sono già sdraiati a terra e si preparano a trascorrere la notte sul pavimento, l’aria è pesante. Siamo forse gli unici italiani a bordo e così tutti ci fissano in modo molto insistente, non so se incuriositi dall’abbigliamento motociclistico oppure perché si domandano il motivo per cui siamo lì in mezzo a loro. Non ci sono possibilità di socializzare. E’ una percezione strana quella che ho, sia perché siamo ancora sul traghetto e sia perché non immaginavo tutta questa “distanza”.Quando ci rintaniamo nella nostra cabina provo un certo sollievo.
22 Aprile 2012
Lo sbarco a Durazzo avviene intorno alle 10-10.30. Mentre facciamo la fila alla dogana del porto, notiamo subito dei bambini che chiedono l’elemosina. Sono sudici e magri, la Poliziacerca di tenerli lontani dalla Dogana ma loro scavalcano i cancelli laterali con abilità e destrezza e dopo poco sono di nuovo tra le macchine e i tir in fila.
Mentre attendiamo che anche Bazu completi le operazioni in dogana, ci avviciniamo ad alcuni poliziotti che ci chiedono se siamo italiani e ci gridano sorridenti”You are welcome!”
Questa frase ce la sentiremo ripetere durante l’intero soggiorno in Albania. Ovunque.
Durazzo è molto caotica, non solo nella zona del porto. Si pone subito il problema di acquistare un’assicurazione perché la carta verde di Pippo non contempla l’Albania tra i paesi coperti dalla polizza. Cerchiamo un’agenzia, aiutati da alcuni poliziotti incontrati per strada, ma i terminali non funzionano e così siamo costretti a tornare in direzione del porto e ad acquistare la polizza per strada, cosa che avremmo voluto evitare. Il certificato sembra autentico e ci viene rilasciato per 20 euro, quando ce lo chiedono qualche giorno dopo alla dogana albanese non ci crea problemi.
Fintanto che non usciamo da Durazzo, ci imbattiamo in un gran casino. Ovunque ci sono venditori di valuta locale e di schede telefoniche albanesi, e subito notiamo che le macchine in circolazione sono al 90% delle berline mercedes. La città è caratterizzata da palazzi anche di 15 piani, alcuni vecchissimi e pericolanti, altri in costruzione. Ci sono cantieri ovunque. Molti ci danno un colpo di clacson e ci salutano. Noi siamo storditi ed un pochino diffidenti, tuttavia notiamo subito che la gente è calorosa ed ospitale.
La nostra prima destinazione in Albania è Berat, città museo che nel 2008 è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità. Dista da Durazzo appena una ottantina di chilometri ed è posizionata tra aspre montagne. Per un breve periodo nel 1944 è stata anche capitale dell’Albania. La strada per Berat è tutt’altro che agevole. Attraversa alcuni villaggi di campagna ed è trafficata e piena di grosse buche, a tratti sterrata.
Lungo la strada, oltre alla immancabili Mercedes, ci sono numerosi carri trainati dai somari, motorini “modificati” e trasformati in carretti, vecchie biciclette che trasportano fieno e stracci. Ogni tanto c’è qualche baracca fatiscente che vende bibite e patatine. Un vecchio posto di Polizia è stato trasformato in un negozio di barbiere ed attira la nostra attenzione in modo particolare. Frequente è anche vedere una donna che porta al guinzaglio una vacca.
Capiamo subito che lungo questi 80 chilometri di strada c’è l’Albania “vera”. E rispondiamo calorosamente a quelle zappe che si fermano per osservarci e accennarci un saluto con la mano, ai bambini che ci corrono dietro allegramente… Tutto ciò mi ricorda una terra lontana visitata nel 2008, il Nepal, ma mai avrei immaginato che l’avrei ritrovato in Europa. E’ un’arretratezza che mi rattrista molto, una miseria che non riesco a spiegarmi.
Comunque questo paese è pieno di contrasti: da un lato le baracche e dall’altro i palazzi di 12 piani in costruzione, molti dei quali rifiniti e di pregio; da un lato i carretti trainati dai ciuchini ed i contadini che ancora lavorano la terra a colpi di vanga e dall’altro Mercedes e macchinoni ovunque, tutti guidati da ragazzi giovani… No, non sono come le macchine truccate con le quali i giovani passano le serate a farsi le vasche nelle cittadine del Sud America, il passo è diverso. Qui c’è un’enorme disparità sociale ed è evidente che il vero potere non è né del popolo né del governo.
Arriviamo a Berat dopo infinite buche, impolverati e felici. Ci sentiamo meravigliosamente in viaggio.
La città ci accoglie in tutto il suo splendore, con le sue mille finestre e quella dominante bianca che la rende unica.
Cerchiamo un hotel e, dopo un tentativo andato male all’hotel Mangalemi, ci fermiamo al Palma, sulla via principale. La doppia costa 30 euro, è discreto anche se non pulitissimo. Non c’è il garage per le moto ma ci garantiscono che il posto è tranquillo così parcheggiamo le nostre “piccole” davanti alla hall. La nostra stanza dà sul fiume, il colpo d’occhio è notevole.
Solo più tardi ci accorgeremo che l’hotel è costruito proprio sul letto del fiume, tipo palafitta.
Pranziamo intorno alle 16 con un gustosissimo piatto di kebab e verdure, poi ci incamminiamo per i vicoli di Berat muniti di macchina fotografica e videocamera.
La città è piuttosto tranquilla, a parte noi incontriamo un’unica coppia di turisti, nord europei ed entusiasti.
In un vicolo il nostro passo incrocia quello di una vecchia signora vestita di nero, col tipico fazzoletto in testa: Bazu la saluta per primo, lei sorride e quando mi incrocia mi batte con la mano sulla spalla… E’ un attimo, le nostre mani si stringono fino a quando i passi in direzione opposta non le costringono a lasciarsi. E’una sensazione bellissima.
Poi, mentre fotografiamo una delle moschee di Berat, veniamo fermati da un signore molto distinto ed educato che ci offre per dieci euro a cranio una stanza a casa sua, nel cuore della città vecchia. Lavora al museo etnografico, ma per arrotondare, dato che è l’unico in famiglia con uno stipendio, trascorre il pomeriggio alla ricerca di turisti. Ci spiega che a Berat l’80% della gente parla italiano, pur non essendo mai stata nel nostro paese. Merito della televisione.
Reincontreremo il nostro amico più tardi, quando –dopo la visita delle moschee- andremo a curiosare fuori dalla città vecchia. E’ su una vecchia bici alla stazione degli autobus, alla ricerca di qualche turista a cui affittare stanze. Ci spiega che spesso i turisti sono diffidenti nei suoi confronti perché arrivano in Albania pieni di pregiudizi; aggiunge che è vero che nel suo paese ci sono molti delinquenti, soprattutto dopo la caduta del regime. E’ incredibile, ma ci confida di rimpiangere i tempi del regime, perché le disparità sociali ed il disordine di oggi crescono a dismisura e non porteranno il paese da nessuna parte. Ci fa proprio l’esempio dei macchinoni in circolazione, aggiungendo che neppure in Italia si vedono tutte queste macchine da ricchi. Ci parla dei giovani senza lavoro, della qualità delle scuole scaduta, delle scarse prospettive di miglioramento, dei suoi figli.
Le moschee di Berat sono molto suggestive. Le visitiamo in perfetta solitudine, scalzi, cercando di immaginarle durante le preghiere.
Siamo rilassati, felici e tra noi incredibilmente in sintonia. Ci regaliamo una cena in un localetto suggerito dalla Lonely Planet: terrina di peperoni al formaggio, bistecca e verdure. Poi una passeggiata ad ammirare le case bianche di Berat illuminate dalla luna. Infine un sonno ristoratore.
23 Aprile 2012
Ripartiamo da Berat intorno alle 9, diretti ad Orhid, in Macedonia.
Ripercorriamo, in senso inverso, parte della strada del giorno precedente. Difatti la ridotta rete stradale albanese non prevede una via diversa che ci consenta di andare direttamente più a nord.
Il tragitto è molto avventuroso, ed attraversa città allucinanti come Elbasan e numerosi villaggi dove tutti gli occhi sono puntati su di noi. Nulla qui è turistico ma tutti ci salutano, compresa la Polizia che –ogni volta che ci incontra- dà un colpo di clacson ed un inizio di sirena.
I posti di polizia infatti in Albania sono frequentissimi. E spesso i poliziotti sono dotati di pistola laser per la rilevazione della velocità. Lo stesso discorso non è valido per le indicazioni stradali che sono molto carenti.
Imbocchiamo una strada che si arrampica seguendo il letto di un fiume e ci offre bei panorami sulle montagne circostanti.
A pranzo ci fermiamo in un piccolo ristorante lungo la strada; praticamente –a parte tre che non si capisce se fanno parte della famiglia o siano a loro volta avventori- ci siamo soltanto noi. Facciamo amicizia con un cagnolino nero che vuol giocare, ce l’ha con Bazu e gli abbaia in continuazione.
Il ristoratore mi porta in uno stanzino dove c’è la cucina per farmi vedere cosa bolle in pentola: c’è una casseruola di alluminio piena di un brodo nero che sembra di manzo ed una pentola con del riso lesso appiccicoso. L’odore non è un granchè, ma non mi pare ci sia una grande scelta: o questo o niente. Completiamo il pasto con un’insalata greca.
Prendo dal frigo una bottiglia d’acqua ma, prima ancora di aprirla, mi accorgo che sul fondo ci sono tre centimetri buoni di muffa. La sostituiamo con due bottiglie da mezzo litro. Il ristoratore però non la butta, bensì la rimette al suo posto.
Siamo affamati ma la qualità del cibo lascia molto a desiderare, così chiedo aiuto alla dolce cagnolina, con la quale nel frattempo siamo diventati grandi amici, che invece sembra gradire qualsiasi cosa sia commestibile, compreso il pane asciutto. Bazu comincia a pensare che la carne sia della “mamma” della cucciola, ma è chiaro che è tutto uno scherzo.
Qui abbondano i somarelli, ed io desidero tanto fotografarne uno. Così, quando vedo un omino col ciuchino, dò una stretta di cosce inequivocabile ad Andrea che si ferma. Ho scelto bene, il ciuchino è delizioso e…udite udite…il marchio dell’Elica spicca sulla sua imbracatura!
Ripartiamo in direzione di Orhid e –superata una cittadina con un centinaio di autolavaggi-passiamo attraverso una regione caratterizzata da numerosissimi bunker. In lontananza si scorgono i laghi, il cielo è nuvoloso ma il paesaggio è notevole.
Superiamo la frontiera e attraversiamo una zona davvero povera. La gente vive in baracche improvvisate e ci sono rifiuti ovunque.
Giunti ad Orhid, veniamo subito intercettati da un tizio che ci offre una stanza a casa sua. Lo liquidiamo perché sappiamo già dove andare e la nostra scelta si rivela azzeccata. Con 24 euro prendiamo una swite a quattro stelle, linda e con un cortile dove far riposare le nostre cavalcature. Sosteremo qui due notti, così da poter dedicare una intera giornata ai dintorni di Orhid,al Parco Nazionale di Galicica e al lago di Prespa.
Facciamo appena in tempo ad uscire che comincia a piovere, sempre più intensamente. Il centro è animato, ci sono parecchi negozi che vendono perle e coralli, molti ristoranti e, in un vicolo, troviamo una gustosa pasticceria dove facciamo una sosta golosa.
Comunque Orhid è una cittadina assolutamente turistica, e dunque qui ci sentiamo più in vacanza che in viaggio. I vicoli della città vecchia sono molto suggestivi.
Completiamo la giornata con una abbondante cena da Tino: ce lo indicano come un ristorante turco, ed invece è un ristorante italiano. C’è pure un complessino che suona musica dal vivo, ma noi siamo presi da ben altro e divoriamo l’abbondante cena fino a non poterne più!
24 Aprile 2012
Nonostante le previsioni meteo siano rassicuranti, la prima luce del mattino non è granchè. C’è come una patina ad oscurare l’azzurro del lago di Orhid che ci offre scorci molto suggestivi mentre con le nostre “piccole” ci giriamo attorno.
Indugiamo a lungo nel villaggio di Trpejca, che la guida presenta come l’unico angolo del lago ancora incontaminato. In realtà è un posto strapieno di appartamenti privati da affittare ai turisti, solo che la stagione non è ancora cominciata.
Dopo una lunga rilassante passeggiata sulla spiaggia, chiediamo alla signora che gestisce l’emporio sulla piazza principale un caffè ma ci mostra una bibita fresca in lattina dall’aspetto poco invitante. Di fronte alla nostra faccia delusa ci fa cenno di sederci fuori e un quarto d’ora dopo si presenta con tre tazze di profumato caffè turco, preparate appositamente per noi, ed un grande sorriso. E’ il primo caffè turco del viaggio, ci lascia la bocca buona per il resto della mattinata.
Quando imbocchiamo la strada che attraversa il Parco Nazionale di Galicica, cominciamo a salire di quota. Il panorama dall’alto è notevole ed incrociamo una coppia di crucchi in moto che salutiamo calorosamente. Comincia la neve e con essa la paura di trovare la strada che collega Orhid a Prespa chiusa. Più su c’è un divieto di transito che decidiamo consapevolmente di ignorare, tuttavia due chilometri dopo siamo costretti ad invertire la marcia perché la strada è ricoperta dalla neve e non c’è spazio sufficiente neppure per passare in moto. Ci fermiamo per qualche foto, la scelta di invertire la rotta è dolorosa ma inevitabile.
Ripassiamo per Orhid e ci dirigiamo a Prespa attraverso una strada più veloce ma trafficata, profumata dai frutteti e strapiena di venditori di mele.
Quando giungiamo al lago fatichiamo a lungo prima di trovare un ristorante, poi con l’aiuto dell’unico passante troviamo un posticino che ci propone un gustoso piatto mai mangiato prima: carpa fritta. Bazu ne è estasiato, lui adora questi piatti saporiti e pesanti.
A parte qualche cormorano non faccio avvistamenti degni di nota, il lago sembra deserto. Dei pellicani ricci di cui parlava la guida neppure l’ombra! Inoltre il tempo continua a non essere un granchè…
Rientrati ad Orhid decidiamo di visitare l’imponente castello, la bella chiesa di Sveti Jovan Kaneo, appollaiata sulle rupi che dominano il lago, e l’imponente cattedrale di Sveta Sofija.
A sera Andrea ed io riusciamo appena a mandare giù un’insalata tanto la carpa fritta si fa ancora sentire! Bazu invece gusta un piatto a base di carne di maiale con grande appetito.
25 Aprile 2012
Finalmente una giornata che sembra limpida ed assolata… almeno ad Orhid! Sì, perché poco dopo la frontiera tra Macedonia ed Albania, su di noi si scatenerà l’inferno…Cavolo, proprio oggi che abbiamo da percorrere tutta strada di montagna!
L’ansia è crescente perché attraversiamo posti davvero “duri”, addirittura ci ritroviamo a costeggiare una discarica di rifiuti abitata da grossi branchi di cani randagi che potrebbero per noi essere un serio pericolo.
Rinunciamo anche alla abituale sosta caffè tanto l’atmosfera è tesa. Il cielo sempre più plumbeo fa il resto e ci costringe ad infilarci sotto la tettoia di un distributore di benzina per il rito della vestizione anti pioggia.
Ce la passiamo davvero brutta, diluvia, il termometro scende a quattro gradi e le condizioni della strada piena di buche sono davvero pessime… Costeggia un gigantesco fiume che sarebbe molto bello se non fosse strapieno di rifiuti che galleggiano e che si trovano praticamente ovunque lungo la strada!
Ben presto il maltempo ci priva di ogni visuale panoramica e quando ci fermiamo in un ristorante per mangiare un boccone ed asciugarci un po’ scopriamo di essere a soli sei chilometri da Burrell.
Queste zone dell’Albania non sono per niente turistiche, così tutti gli occhi sono puntati su di noi. Ogni tanto si avvicina qualcuno per fare la nostra conoscenza. Il nostro vicino di tavolo mi chiede in che zona di Roma abito e mi dice di essere stato a Viterbo, in carcere. Il cibo è buono.
Intanto che mangiamo ci accorgiamo che ha smesso di piovere. Esce un sole caldo ed intenso che ci regala più di un’emozione mentre percorriamo una splendida strada di montagna che costeggia un fiume, stavolta senza rifiuti. Troviamo anche un bar dove prendere un caffè espresso (in questo gli albanesi non sono per niente indietro).
Ci fermiamo a fare delle foto a dei maialetti lungo una strada piena di ginestre profumate e capre quando sentiamo una macchina inchiodare in mezzo alla via, per giunta in curva, con lo stereo a palla: ne esce un tipo di mezza età che scopriamo essersi fermato per noi. Ci chiede se ci piace il suo paese e scopriamo che vive da 12 anni in Italia. Deve essere un po’ il boss della zona perché a quanto pare quello che ci circonda è tutta roba sua. Ci invita a bere un caffè a casa sua ma decliniamo l’invito: c’è una luce splendida e ci siamo persi Bazu che aveva voglia di guidare approfittando delle discrete condizioni dell’asfalto.
E’ bello essere su questa strada di montagna ora a respirare il profumo dell’appena piovuto mentre il sole ci scalda il viso.
In tutto il percorso non abbiamo incontrato neppure un hotel, segno che queste zone non sono per niente turistiche. In compenso abbiamo reincontrato i due crucchi già visti ad Orhid.
Dobbiamo faticare parecchio per trovare un posto dove dormire. Scartiamo un hotel che ci chiede 30 euro a cranio con pagamento anticipato e che non ci sembra sicuro per le moto, ed entriamo a Shkoder, in un albergo statale che si rivela subito sporco e fatiscente, con un ristorante all’altezza del resto. Fatichiamo a prendere sonno a causa del letto sfondato e dell’assordante rosicchiare dei tarli: io ho paura che siano nel materasso, Andrea pensa siano altrove. Quando finalmente riusciamo a prendere sonno veniamo svegliati dal minareto che prega squarciando il silenzio della notte. Pensare di togliersi la stanchezza con una doccia è impensabile viste le pessime condizioni igieniche del bagno.
Domani lasceremo l’Albania per il Montenegro.
26 Aprile 2012
La giornata dioggi è davvero spettacolare. Abbiamo deciso di entrare in Montenegro attraverso una frontiera secondaria (Muriqan) che porta direttamente alla sponda meridionale del lago di Scutari.
Non appena superiamo la frontiera albanese, ci ritroviamo a percorrere circa sette chilometri di sterrato dovuto a lavori in corso. Impieghiamo tempo a capire che quella che stiamo percorrendo non è la terra di nessuno ma siamo già in Montenegro. A trarci in inganno anche la circostanza che in frontiera, pur passando i nostri documenti e la carta verde da un poliziotto all’altro, ci mettono solo il timbro albanese e non anche quello montenegrino. Ciò nei giorni a venire creerà un divertente equivoco perché in un albergo verremo presi per clandestini!
Ritrovato l’asfalto, la giornata ci vede arrivare felici a Virparar, in Montenegro, dopo aver percorso dapprima una suggestiva strada zeppa di alberi secolari e tombe e caratterizzata da una vegetazione verde e lussureggiante, e poi una meravigliosa strettissima strada tra pareti di roccia sospesa tra cielo e lago. E’ il trionfo della natura. Non incontriamo quasi nessuno a parte una tribù di ciuchini, ma tutto è incredibilmente ospitale.
Siamo nel parco nazionale di Scutari, quello che per me resterà il posto più bello dell’intero viaggio. Ogni curva, ogni metro di strada ci regala uno scorcio incredibile e diverso tante sono le isolette sospese nel lago.
A dire il vero non avevamo pianificato di fermarci proprio a Virparar, ma questo paese si rivela talmente accogliente da conquistarci immediatamente. Anche perché non appena ci fermiamo la mia attenzione viene subito attratta da un bellissimo negozio di souvenir artigianali: c’è una signora che dipinge pellicani e ninfee di tutti i formati e pose. Acquisto dei magneti ma mi riservo una seconda visita più calma nel pomeriggio quando ci saremo sistemati.
Veniamo subito accalappiati da un certo Marco, di nazionalità serba, titolare di un albergo/ristorante, che ci affitta una stanza per 26 euro a testa. Non c’è il tempo di pranzare perché lo stesso tizio ci vende una gita in barca di due ore che parte alle 14. Abbiamo meno di mezzora per posare i bagagli e cambiarci. Così, mentre rosicchio un paio di gallette di mais per fare stare zitto lo stomaco che reclama cibo, comincio a sognare di vedere i famosi pellicani ricci di Scutari.
Verrò premiata. Con stupore anche del giovane capitano della piccola barca che ci porta a spasso assieme a una famigliola di francesi.
Bazu si dimostra subito un po’ insofferente alla gita in barca, a lui pellicani ed aironi piacerebbero solo arrostiti. E magari assaggerebbe pure un cormorano in umido con le patate!
Il lago in alcuni tratti è davvero splendido, tant’è che fa parte di un parco nazionale. Ci sono tantissime piante di ninfee, ma ancora non sono fiorite. E' pieno di uccelli, in particolare cormorani ed anatre. Ma anche gli aironi bianchi abbondano.
Di pellicani ne avvistiamo diversi, forse una decina. Tanti se si considera che secondo la guida in tutto il Parco ne sono rimasti soltanto 270 esemplari. Uno è incredibilmente grosso. Ci regalano spettacolari voli. Purtroppo il movimento della barca non consente grandi zoomate, tuttavia qualche bella ripresa riesco a portarmela a casa.
Rientrati sulla terra ferma verso le 16.30 facciamo uno spuntino al supermercato. Qui c’è l’euro e dunque fare la spesa è estremamente semplice. Niente di meglio che yogurth e biscotti. Bazu invece va a wurstel e noccioline.
Intanto continuano gli attacchi di Marco, che si rivela una vera e propria piattola. Ci spia e vorrebbe organizzare ogni secondo del nostro soggiorno a Vir. Ma noi siamo abili a seminarlo e lo trattiamo con sufficienza.
Il negozietto di souvenir è chiuso, così non posso fare altri acquisti.
Andrea ed io decidiamo di riprendere Pippo e di andarci a fare un giro sulla spettacolare strettissima strada panoramica che porta a Rijeka Krnojevica, quella delle foto di tutte le guide turistiche sul Montenegro. Non riusciamo a ritrovare i luoghi visti sulle foto, ma poi ci accorgiamo che in realtà sono loro ma hanno un aspetto differente perché è caduta tanta di quella pioggia che ci sono interi campi alluvionati e moltissimi alberi sott’acqua. I panorami sono incredibili, anche se il sole è ormai basso e parecchie zone sono in ombra. Incontriamo due bellissimi cerbiatti intenti a brucare in un campo.
Rientriamo che sta facendo buio, la zecca è già lì ad aspettarci per indurci ad andare nel suo ristorante. Una doccia, una passeggiata fino alla ferrovia a recuperare lo Zione e ci infiliamo proprio al ristorante “Il pellicano”, dove ci facciamo male con olive e formaggio di capra per antipasto, e un tris di pesce di lago con tortino di patate e cipolle come portata principale. Poi birra locale e un dolcino troppo dolce omaggio della casa. Ci regalano delle erbe secche con cui prepararci una tisana e quattro buste con dei francobolli raffiguranti appunto un pellicano.
Andiamo a nanna appagati, in tutti i sensi. Ma la notte l’acidità di stomaco si fa sentire… La carpa non è proprio per me!
27 Aprile 2012
Ripartiamo da Vir di buon’ora dopo aver fatto incetta di brioches al forno del paese. Con soli 70 centesimi mi porto via dolci per quattro persone ed un rustico per Bazu!
Marco, la zecca, stranamente non c’è. Proprio ora che dobbiamo pagare, lui che ieri ha cercato in tutti i modi di farsi dare anticipatamente i soldi dell’hotel, non c’è! Lasciamo i soldini in agenzia ad una signora che non parla né inglese né italiano e beve un profumato caffè turco, autopraticandoci un paio di euro di sconto sul prezzo pattuito.
La giornata è splendida. Azzurra e soleggiata. E ci vede a zonzo per le montagne settentrionali del Montenegro. Seguiamo il fiume Moraca oggi, azzurro ed impetuoso.
Anche il Monastero della Moraca ci lascia a bocca aperta. E’ splendido, zeppo di affreschi antichi. Il pope in compenso è antipaticissimo, il suo “no foto” non ammette deroghe.
Dietro il monastero ci sono numerosissime arnie, una delle quali a forma di monastero. Chiedo di acquistare del miele ma mi dicono che non è in vendita.
Approfittando della distrazione del pope, con Andrea di vedetta, riesco a fare delle riprese nella chiesa più piccola, collocata nei pressi delle arnie. Più per il gusto di fare un dispetto al pope che per altro!
Nonostante siamo in montagna fa davvero molto caldo.
Ad un certo punto la nostra attenzione viene attratta da una specie di tholos posto lungo il fiume. Bazu ci spiega che si tratta di una speciale costruzione utilizzata per fare il carbone. La osserviamo a lungo, incuriositi e attratti dal suggestivo scenario del fiume in un cui è collocata.
La strada sale sempre più in alto. Ci imbattiamo in uno strano gabiotto di legno e Bazu naturalmente lo apre: trattasi di un gabinetto posto nel nulla, di fronte ad una montagna che assomiglia al nostro Cervino e raggiunge i 2700 metri di altezza.
Poco dopo arriva uno strano tizio che cammina tutto storto con dei bastoni e secondo me è brillo. Comincia a parlare con Bazu e gli fa il saluto fascista. Nomina più volte Hitler e ci vuole poco a capire che dev’essere un estremista fanatico. Non sappiamo se è il proprietario del bagno.
Le montagne attorno a noi sono piene di neve, ne incontriamo anche lungo la strada. Quando svalichiamo attorno a noi è tutto bianco. I bar sono chiusi, mi viene incontro un tedesco dicendomi che a casa sua per noi ci sarebbe un letto e del cibo, ma è troppo presto per fermarci e sicuramente quello non è il posto più adatto.
Arriviamo a Plav, dove pensavamo di pernottare, ma la città è squallida e nonostante seguiamo le insegne di un hotel non riusciamo a trovarlo. Così decidiamo di riprendere la strada e di proseguire. Incontriamo un cupo negozietto in un paese tristissimo e ci compriamo l’occorrente per dei panini, tre banane e qualche bibita fresca. Mangiamo in un giardino/cimitero monumentale qualche chilometro più avanti. Bazu divora arachidi.
Ad un incrocio sbagliamo strada, ma questa sarà la nostra fortuna perché ci imbattiamo in un hotel bellissimo, Luka’s, dove prendiamo una stanza stupenda per 46 euro (25 per Bazu).
Finalmente possiamo fare una doccia come si deve, di quelle che spazzano via la stanchezza.
Scopriamo di essere a Berane, cittadina piuttosto brutta e squallida, come abbiamo modo di verificare quando usciamo per cena. Avremmo fatto meglio a mangiare da Luka’s e ce ne rendiamo conto una volta di più di fronte al meraviglioso dolce al cioccolato che ci porta al nostro ritorno. Anche le crepes mirtilli e panna della colazione sono squisite. E quello di Marco, il barista dell’hotel, è il migliore espresso bevuto in questo viaggio.
28 Aprile 2012
Lasciare questo confortevolissimo albergo ci dispiace un po’, così si fanno le nove passate prima di riprendere il nostro viaggio.
Oggi visiteremo il parco nazionale del Durmitor.
Ma prima di ripartire ci fermiamo in un supermercato per dei generosi panini, così da non dover saltare il pranzo a causa di mancanza di ristoranti.
Il fiume Tara scorre alla nostra destra quando, verso le dieci, ci blocchiamo a causa di una macchina messa di sbiego a sbarrare la strada. Non si è ancora formata fila, ma capiamo in un attimo che la strada è stata chiusa a causa di una frana. Di passare non se ne parla, neppure in moto.
Sosteremo per circa un’ora e un quarto. Ciò ci consentirà di interagire con alcuni montenegrini. Uno di loro, in particolare, nonostante non parli una parola di inglese, riuscirà a comunicare con noi più di altri, al punto che prima di ripartire donerà ad ognuno di noi tre un santino plastificato gelosamente custodito nel portafoglio. E’ un uomo sui 45 anni, ha un odore cattivo, di sudore stantio, ma che è molto devoto lo vedo quando vedendo passare un frate si precipita a baciargli le mani. Si chiama Ranko e insiste per darci il suo indirizzo e-mail.
Una volta che la strada viene riaperta, cominciamo ad addentrarci nel parco del Durmitor. Ora il fiume è alla nostra sinistra.
Si è fatta ora di pranzo, così decidiamo di trovarci un posto per fare il nostro pic nic. A un certo punto vedo una indicazione stradale che segnala un monastero, d’impeto decido che voglio vederlo e i boys mi assecondano volentieri. Arriviamo nel piazzale antistante la piccola chiesa attraverso una breve stradina secondaria. Ci sono due suore minute sedute su sedili di alberi tagliati intente a sorseggiare qualcosa. Una di loro, capendo le nostre intenzioni, ci viene incontro. Con tono severo ci dice che non si possono scattare foto e che io con i pantaloni non posso entrare. Mi porge una gonna bordò a fantasia che indossò sopra i jeans e gli stivali della moto, tra l’ilarità di Andrea e Giovanni.
Visitiamo il monastero, piccolo e meravigliosamente affrescato. E’ un luogo magico, e così acquistiamo delle candele e le accendiamo ad una splendida Madonna. Una è per il nostro Amico Giorgio, che ricordiamo tra le lacrime. Non c’è posto infatti dove andiamo senza portarcelo nel cuore.
Acquistiamo anche delle immagini sacre raffiguranti delle Madri. Sono tutte molto belle.
Forse è stato con la fiamma di quella candela per Giorgio che l’algida suora si è sciolta. Fatto sta che quando mi ha vista faticosamente sfilarmi la gonna ha riso con me, e quando abbiamo insistito per consumare il nostro panino nei pressi del monastero il rigido divieto iniziale di pic nic è caduto. Non solo, ci siamo seduti con lei e la sua superiora sui sedili d’albero e sono state le due ore più belle dell’intero viaggio.
La superiora ci ha chiesto di parlare in italiano anziché in inglese, lingua che trova fredda ed impersonale. Abbiamo cominciato a scambiarci parole di fronte ad un vecchio dizionario Montenegrino/Italiano, ridendo di gusto in una condivisione che aveva in sé un qualcosa di magico. Il Durmitor era dietro le nostre spalle, trionfante e fiero. Attorno a noi un paesaggio verde ed assolato, con fioriture di blu. Nei nostri cuori gioia e spensieratezza. Un insieme assolutamente armonico. Purezza e gioia.
Le suorine dapprima ci hanno offerto un caffè turco, poco dopo ci hanno fatto assaggiare una gustosa torta rustica fatta con uova, formaggio e l’ortica del campo in cui eravamo seduti insieme.
Un incontro che non dimenticheremo mai. Sono certa che Giorgio era lì seduto insieme a noi e se la rideva di gusto.
Ripresa la strada, siamo saliti fino ad incontrare i paesaggi innevati di una stazione sciistica. Sotto di noi le imponenti gole del fiume Tara. Da lì avremmo dovuto imboccare una stretta stradina diretta ad ovest che raggiunge i 1800
metri di quota e che passa nel cuore del parco, ma per la seconda volta abbiamo dovuto cambiare programma a causa della neve. Strada chiusa. Così ci siamo ritrovati a Niksik, squallido avamposto del regime trasformato in città universitaria.
ull’hotel non abbiamo avuto scelta e ci siamo fermati all’Onogost, un ex albergo statale grandissimo, squallido ma pulito, anche piuttosto caro (66 euro per la doppia). Lì la fantasia di Bazu si è scatenata. Ogni particolare suggeriva storie, eventi, personaggi, intrighi. E’ stato qui che ci hanno scambiati per dei clandestini a causa del mancato timbro sul passaporto di cui dicevo qualche pagina fa. Purtroppo Pippo e Minnie sono stati rinchiusi in un cortilaccio buio ed i nostri passaporti tenuti in ostaggio fino alla mattina dopo. Sul letto c’erano coperte e lenzuola piegate, in pratica ci siamo dovuti fare la branda come dei militari. E per colazione ci hanno dato dei tagliandi da consegnare ad una tipa che sembrava uscita dal letto di un ufficiale parecchi anni prima. Naturalmente il burro era di marca “Presidential”.
Niksik è piena di birrerie, di studenti e di squillo, ma non siamo riusciti a trovare il suo unico ristorante. Pertanto ci siamo accontentati di una pizza e di un gelato, prima di chiudere la porta della stanza 306 S dell’hotel Onogost. Poco dopo dei passi, poi di nuovo silenzio.
Domani si va a Kotor.
29 Aprile 2012
La giornata ha inizio con un’ordinaria colazione all’Hotel Onogost.
Poi ci dirigiamo ad Ostrog per visitare il famoso monastero nella roccia che ogni anno attira oltre un milione di visitatori. E’ domenica e dunque ci sono molti pellegrini. Restiamo piuttosto delusi, quando vediamo il breviario di un frate su i-pad restiamo allibiti. La strada per Ostrog è un disastro: senza protezioni, piena di buche e a tratti sterrata. Vi sono diversi autobus che arrancano con difficoltà e costringono noi a respirare la loro nafta e le vetture che giungono in senso contrario a numerose manovre. Un inferno.
Inoltre fa un caldo boia, il termometro supera i 30 gradi.
Ci fermiamo a fare il punto in un bar/ristorante pieno di nidi di rondine.
Per andare a Kotor abbiamo scelto una stradina di montagna stretta e ripida, l’unica che consente di arrivarci da Niksik senza dover ripassare per Podgorica. Ci lascia stupiti per quanto è desolata e piena di buche, poco più di un sentiero.
Le curve sono tante e cieche e dunque siamo costretti a procedere per due ore pigiando continuamente il clacson. Fa un caldo incredibile e siamo tutti impolverati, ma l’adrenalina sale chilometro dopo chilometro, insieme all’appetito. Ogni tanto incontriamo dei gruppetti di case, ad un certo punto c’è una specie di bar con dei tipi che ci offrono della grappa, ma sono talmente brilli che ci fermiamo quel tanto che basta per fare qualche foto al distillatore.
Ad un certo punto entriamo in una valle verdissima, come un’oasi in un deserto brullo. Bazu nota subito un grosso pozzo artesiano e allora tutta quella magnificenza trova il suo perché.
Sono circa le 15 quando le condizioni della strada cominciano a migliorare. Tra le prime case troviamo un bar che vende anche prodotti tipici ed offre dei tavoli all’ombra. Il sig. Franco ci imbandisce la tavola con birra, prosciutto affumicato artigianale e formaggio. Ruminiamo qualche nocciola selvatica, acquistiamo un barattolo di miele e sorseggiamo un caffè turco prima di riprendere la strada.
I villaggi che seguono sono più turistici e nell’aria si sente un delizioso profumo di prosciutto affumicato. Dai cartelli ci accorgiamo che siamo in una zona di produzione molto rinomata.
Ci fermiamo ancora per sorseggiare una bibita gelata, fa davvero molto caldo. C’è un pastore seduto su un prato insieme a pelose pecore e caprette con i cuccioli.
Quando la strada si allarga, Bazu fugge avati per guidare. Noi facciamo una miriade di soste fotografiche perché, alla nostra destra, il fiordo di Kotor offre vedute spettacolari. Ci sembra di volare.
Planiamo sul fiordo dolcemente e al fatidico incrocio decidiamo di non entrare a Kotor e di seguire per Muo, così da trovare una sistemazione più tranquilla. Appena ci fermiamo veniamo accalappiati da un ragazzo di circa 30 anni che ci offre un appartamento panoramico. Per 35 euro al giorno ci dà due mini appartamenti all’ultimo piano di casa sua. Ognuno è dotato di bagno e cucina e affaccia su un terrazzo che si tuffa sul fiordo e su Kotor. Pippo e Candy per la prima volta dormono in un vero garage.
Il tempo di una doccia e scendiamo per cena. Troviamo un ristorantino delizioso ad un centinaio di metri da casa e decidiamo di cenare all’aperto, sull’acqua. Così assaggiamo un vino di visciole fatto in casa ed altre prelibatezze locali di cui non ricordo il nome. Con l’arrivo della notte, l’oscurità si riempe di luci sempre più intense e ci godiamo il panorama notturno della città vecchia.
Rientrati in casa, va via la luce per circa mezzora. Il black out brucia il trasformatore del caricatore delle batterie della mia Nikon, ma siamo a tre giorni dalla partenza ed io per fortuna ho autonomia sufficiente fino al rientro in Italia.
30 Aprile 2012
La giornata inizia con una visita alla città vecchia. E’ incantevole, peccato che ci sia una grossa nave da crociera ferma nella baia che sforna un numero incredibile di turisti.
Nel caos di Kotor perdiamo Bazu che ritroveremo a fine mattinata. Oggi ha un brutto mal di pancia e dunque non può lanciarsi in assaggi culinari. Siamo venuti in moto e risalire in sella, col caldo che fa, si rivela molto piacevole. Partiamo alla
volta dei villaggi che si affacciano sul fiordo e sostiamo a lungo a Perast dove pranziamo. Povero Zione, costretto a petto di pollo, riso in bianco ed Imodium, mentre noi ci facciamo fuori calamari arrosto, insalata e patatine! Proprio oggi che sulla brace del ristorante c’è un pentolone pieno di agnello e patate! La sua storia, magistralmente raccontata a gesti, suscita l’ilarità del cameriere e degli altri avventori.
Dopo un caffè decidiamo di prendere il traghettino che attraversa il fiordo per poter esplorare i villaggi situati sulla sponda opposta. Poi una caotica strada ci porterà fino a Sveti Stefan, che scopriamo essere proprietà privata.
Torniamo a casa dopo esserci approvvigionati in un supermercato. Stasera mangeremo a casa: pasta con il pomodoro fresco. E così ceniamo sulla nostra terrazza privata, appagati dalla bella giornata appena trascorsa e da questo viaggio che si sta rivelando splendido.
1° maggio 2012
Oggi ci attende la dogana tra Montenegro e Croazia. Noteranno che non abbiamo il timbro in entrata? Dovremo davvero pagare una multa, come paventato dalla guida?
uando attraversiamo la frontiera montenegrina il passaporto non ce lo chiedono neppure, ci fanno segno di proseguire e basta. I croati invece sono un pochino più precisi. Stiamo entrando in Croazia da una frontiera secondaria, sia perché vogliamo evitare strade veloci e trafficate e sia perché desideriamo arrivare a Dubrovnik dall’alto così da poterne ammirare il
panorama.
Come vuole la tradizione, anche stavolta appena superiamo la dogana incontriamo i lavori in corso e siamo costretti ad incipriarci di sterrato. La strada è chiusa così siamo costretti a modificare il nostro itinerario. Scegliamo un’altra strada secondaria che ci porterà a Dubrovnik molto lentamente dopo numerose divagazioni e due lunghe soste: la prima per sfuggire al caldo ed infilare i piedi nell’acqua limpida di un molo solitario, e la seconda per pranzare.
Anche se abbiamo ancora il pomeriggio e tutto domani, siamo consapevoli che il viaggio può considerarsi concluso. La visita a Dubrovnik è un di più, un modo per avere quel giorno di margine che ti fa stare tranquillo in caso di imprevisti, una parentesi vacanziera.
Così, dopo aver affittato un appartamento con due stanze da letto per 20 euro a persona, ci dirigiamo a piedi verso la città vecchia dalla quale ci separano 191 gradini. C’è una luce caldissima ed il clima è afoso, così ci concediamo un gustoso gelato prima di visitare la città ed i suoi vicoli molto suggestivi.
A sera ci fermiamo in un ristorantino all’aperto su un vicolo, ci attirano le tovaglie a quadretti rossi e la bouganville a centro tavola. Ma la cucina non è un granchè, la bouganville è finta ed il conto è piuttosto salato.
2 maggio 2012
Lasciate le sacche e l’abbigliamento motociclistico alla nostra ospite, ripercorriamo i 191 scalini che ci separano dalla città vecchia. Oziamo in ogni vicolo, alla ricerca di scatti e di angoli suggestivi. Così, tra una risata, un gelato, una bibita all’ombra e quattro chiacchiere, si fa l’ora di riprendere i bagagli per raggiungere il porto. Ci troviamo impacchettati in una lunga coda dovuta ai bus turistici che caricano e scaricano orde di turisti orientali (forse gli stessi che erano lunedì a Kotor), ma grazie alla agilità delle nostre “piccole”riusciamo a passare. Facciamo provviste in un supermercato per la cena e alle 20:30 siamo sulla Dubrovnik, circondati da pellegrini di ritorno da Medjugorie che cantano e pregano.
La cabina è più comoda di quella del viaggio di andata, nella nave è rigorosamente vietato fumare e sul ponte c’è un gigantesco pastore bernese che si rotola con Bazu per giocare sotto gli occhi non proprio felici del suo padrone.
3 maggio 2012
Arriviamo a Bari intorno alle 9.30. Salutiamo Bazu e imbocchiamo l’autostrada per arrivare a Pescara intorno alle 13. C’è una piacevole brezza, l’aria è molto più fresca che in Montenegro e a Dubrovnik.
Andrea ha appena il tempo di assaggiare la pasta col pomodoro ordinata alla mamma la sera prima perché deve andare in ufficio. Io ho l’adrenalina a mille e dopo una doccia mi concentro sulle numerose lavatrici da fare.
E’ stato un viaggio intenso e bellissimo, sia nella parte più avventurosa (Albania) che in quella più prettamente turistica. Ci ha lasciato dentro grande soddisfazione ed armonia.